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Nella lotta alla mafia "in Europa, l'Italia è portatrice di una linea molto rigorosa poco compresa dagli altri Paesi" ed è necessario “guardare alle mafie non più solo in Italia, ma come problema globale". Sono state queste le parole pronunciate dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, alla Festa nazionale dell'Unità di Bologna.  Per il procuratore "le infiltrazioni mafiose sono quelle della criminalità organizzata transnazionale" ed è quindi "necessario uno sforzo globale e l'Italia ce la sta mettendo tutta soprattutto in epoca di pandemia".
Infatti le organizzazioni mafiose hanno approfittato della pandemia tendendo "ad acquisire società che già operano appropriandosene dall'interno" e in questo modo tentano di "ampliare la capacità di operare nell'economia legale". "Nella pandemia le mafie si sono mosse utilizzando la loro ricchezza: tentando di ampliare la capacità di operare nell'economia legale", ha spiegato il procuratore antimafia, aggiungendo che "oggi, approfittando della pandemia, le mafie tendono ad acquisire società che già operano appropriandosene dall'interno: riescono ad immettere il proprio denaro e quel denaro che viene coperto attraverso la più varia documentazione, quindi mimetizzato, costituisce la prima mano che le mafie mettono nell'attività economica". E nel momento in cui quel denaro non viene restituito ecco che "le mafie si riappropriano dell'attività economica, ma non variando la composizione societaria perché non hanno bisogno di questo, ma attraverso un accordo sottostante con coloro che gestiscono la società stessa". Questo, secondo il procuratore antimafia avviene "per ristoranti, alberghi e bar, tutte le attività che hanno sofferto di più". Quindi "attraverso un accordo silenzioso, non visibile e non intercettabile, riescono a impossessarsi di quell'attività economica che finirà per essere gestita in modo subdolo dalle mafie che se ne sono appropriate le quali avranno una ricchezza che non è visibile e non rilevabile". "Soltanto una intercettazione ambientale potrà evidenziare, nel momento in cui il soggetto dovesse parlare proprio di questo, quel che sta avvenendo altrimenti esternamente nessuno può rilevare alcunché" ha ribadito Cafiero de Raho. Questo perché "coloro che gestiscono apparentemente sono gli stessi titolari di sempre, coloro che vi lavorano sono il personale che da sempre ha lavorato, l'attività economica resta apparentemente immutata, il titolare apparente comunque continua ad averne un utile perché altrimenti se ne sarebbe dovuto liberare e ha interesse a mantenere il silenzio per poter continuare a gestire almeno apparentemente e trarne utile". E da qui, secondo il procuratore antimafia "si ha un'infiltrazione subdola e silenziosa delle mafie nelle attività economiche senza neanche entrare nella composizione societaria del soggetto economico di volta in volta individuato". Questo appare in alcune delle attività economiche che sono state particolarmente colpite dalla pandemia: ristoranti, bar e alberghi. "E' una modalità che è apparsa chiara come lo strumento che più agevolmente consente di infiltrarsi senza apparire - ha aggiunto -. Ed è in fondo quello che vogliono: poter riciclare denaro è il primo scopo delle mafie, non tanto esercitare l'attività economica perché non è attraverso l'attività economica che le mafie si arricchiscono; le mafie si arricchiscono con i traffici illeciti. E questo avviene attraverso poi dei circuiti molto ampi che consentono poi alle mafie di stringere relazioni con altri soggetti economici molto spesso sani che hanno interesse ad aggregarsi ai gruppi che appaiono più forti e soprattutto a quelli che appaiono più capaci di muoversi nei vari settori". "Oggi le mafie hanno assunto una fisionomia totalmente diversa - ha spiegato de Raho - ma non hanno abbandonato la loro struttura e le modalità operative tradizionali" nei territori "in cui tradizionalmente hanno operato e quelli in cui si sono espansi". In particolare, "la violenza è usata solo come extrema ratio" poiché "le mafie oggi si muovono nell'economia come qualunque altro soggetto economico. Sono galassie di società che si perdono nel mondo dell'economia".

Cafiero de Raho: "Grave non condividere intercettazioni tra procure"
"Da quando è entrata in vigore la nuova legge le intercettazioni non possono essere condivise tra le procure", questo è un "gravissimo danno per la conoscenza e per la condivisione" e quindi per la lotta alle mafie. In questo passaggio il procuratore nazionale antimafia ha voluto anche ricordare che la questione non è ancora stata risolta dal ministro della Giustizia, pur essendo stato informato come il suo predecessore. "Una volta, finché non è entrata in vigore la nuova legge sulle intercettazioni esse venivano condivise da tutti gli uffici di procura. Da quando è entrata in vigore invece ciò non avviene più con gravissimo danno per la conoscenza e per la condivisione". Questo "è un dato che ancora oggi non è stato affrontato e che pur essendo stato sottoposto anche all'esame dei ministri del Governo passato e di quello attuale non è stato ancora risolto". "L'operatività del circuito antimafia" ovvero "la direzione nazionale e distrettuale poggia tutto sulla condivisione delle conoscenze: una banca dati centrale, con banche dati delle 26 procure distrettuali che riversano tutto il materiale acquisito nel corso dei procedimenti in tempo reale nell'unica banca dati centrali. Di volta in volta gli elementi acquisiti vengono utilizzati anche per creare dei collegamenti e per rendere il quadro per ciascun ufficio sempre più ampio e sempre più sostenuto da elementi indiziari". Una volta quindi "potevano immediatamente essere estrapolati gli elementi che derivavano dalle intercettazioni in corso - ha detto - oggi questi elementi restano nel segreto della procura che sta procedendo e le altre procure non sapranno niente fino a quando gli atti non verranno depositati. Non solo, ma di quelle parti che sono state intercettate solo quelle utilizzate verranno condivise mentre le altre resteranno nell'archivio degli uffici senza che gli altri uffici, anche se ne dovessero avere utilità, possano averne conoscenza se non attraverso una condivisione che oggi non c'è". "Questo - ha concluso il procuratore antimafia - ci tengo a sottolinearlo perché il circuito antimafia è un circuito che è fondato sulla condivisione delle conoscenze: in mancanza di esse gli uffici continuerebbero a muoversi come delle monadi e quindi sarebbero sempre meno forti".

Foto © Imagoeconomica

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