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Un nuovo caso è stato ricostruito il 30 luglio ,durante l’udienza svolta nell'ambito del nuovo processo sulla strage di Bologna che vede come principale imputato l'ex avanguardista Paolo Bellini. Il maggiore Cataldo Sgarangella della Guardia di finanza che ha indagato sui rapporti tra Ugo Sisti,  procuratore di Bologna ad agosto del 1980, e la famiglia Bellini ha raccontato di un passaggio di 40 milioni di vecchie lire tra Aldo Bellini e Fernanda Sisti, sorella di Ugo. Secondo l'accusa questi movimenti di denaro sarebbero stati fatti in più tranche (tra settembre e dicembre 1980) e in maniera "ingiustificata". Il denaro schermato dalla donna, secondo l'accusa ,era destinato proprio ad Ugo Sisti. Da collegare al fatto che il magistrato, poche ore dopo la strage, era stato trovato a casa del parente di Paolo Bellini, Aldo.
Del legame tra il giudice e il padre dell'ex avanguardista si era iniziato a parlare nel marzo del 1982, quando sono uscite le prime indiscrezioni sulla loro frequentazione ,in cui si scopre che nel giro di qualche mese il giovane Paolo, al tempo latitante con il falso nome di Roberto Da Silva, aveva portato in giro Ugo Sisti con un aereo privato. Nel 1982 per questa vicenda l’ex capo degli inquirenti bolognesi era stato indagato, processato con l'accusa di favoreggiamento e infine assolto. Ed è proprio tra le carte di quell'indagine che sono venute alla luce anche dei documenti depositati da Sisti in sua difesa. I documenti riportano i dettagli di una causa civile ,presentata da Aldo Bellini contro Fernanda, per via dell'acquisto andato male di un'immobile. Questa vicenda spiegherebbe, in teoria, i pessimi rapporti tra i due. Ma il maggiore Cataldo ha presentato un'altra versione. Secondo il finanziare "il contratto non appare regolare, ed è chiaro che a fronte di versamenti per 40 milioni di lire, la sorella di Ugo Sisti nulla, o quasi, sapesse". Trattandosi quindi di un’operazione fittizia, secondo gli inquirenti, quel passaggio di denaro doveva avere un’altro scopo che allo stato attuale non è emerso.
Durante l'udienza tale ricostruzione è stata contestata dai legali di Paolo Bellini, Antonio Capitella e Alfredo Fiormonti i quali hanno chiesto l’acquisizione di diversi documenti utili a smontare la tesi, sostenuta in altre informative, secondo cui il loro assistito sarebbe stato legato ad esponenti dell’eversione fascista. Inoltre sono state affrontate dalle difese altre due questioni.  La prima ha riguardato il modo in cui Bellini, fuggito in Brasile nel 1977, dopo un tentato omicidio, era riuscito a ottenere i documenti falsi. Per gli avvocati il latitante non aveva alcun aiuto o copertura "strana", ma semplicemente si era presentato all’anagrafe sudamericana con due testimoni che hanno attestato la sua falsa identità. La seconda questione è stata quella relativa all’identikit fatto dopo l’attentato del 2 agosto da un testimone oculare. Si tratta di Emilio Vettore, un cittadino di Bari, che si era presentato alla polizia di Viareggio per dire che, in transito da Bologna, quella mattina aveva notato "due giovani in atteggiamento sospetto".
Qualche tempo dopo, all’uomo è stato fatto vedere Paolo Bellini in mezzo ad altre due persone e gli era stato chiesto di fare un riconoscimento: "In quell’occasione - hanno detto Fiormonti e Capitella - Bellini non venne assolutamente riconosciuto".

Paolo Bellini: "Mai conosciuto Cavallini"
"Non ho mai conosciuto Gilberto Cavallini e non l’ho mai visto mentre ero in Sudamerica”. Paolo Bellini, è tornato a difendersi con una dichiarazione spontanea nel corso del processo sulla strage del 2 agosto 1980. L’ex esponente di Avanguardia nazionale ha negato di conoscere l’ex Nar Cavallini, già condannato all’ergastolo in primo grado per la strage. Bellini è intervenuto dopo la produzione di una serie di documenti da parte dell’accusa rappresentata della Procura generale su presunte relazioni negli anni Ottanta tra lui e l’ex Nar ,condannato in primo grado all'ergastolo per concorso in attentato.  Le dichiarazioni di Bellini tuttavia sembrano non coincidere con alcuni elementi. Nel 1983 un atto riservato “per il capo della polizia” riportava che “fonte estera qualificata non è in grado di stabilire i contatti fra Bellini e Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale, ndr); tuttavia sappiamo che Bellini era in contatto con Gilberto Cavallini, alias Antonio”. La fonte qualificata sarebbero i servizi segreti stranieri e il telex informativo era arrivato a Roma da Londra. Inoltre durante la ricerca di collegamenti tra Cavallini e Bellini è stato identificato anche Stefano Sorrentino, risultato identico a Roberto Fiore, oggi a capo di Forza Nuova.
Io - ha aggiunto Bellini - non sono mai stato in Bolivia o Venezuela, sono stato in Brasile e in Paraguay in due occasioni. Il 14 febbraio 1981 venni arrestato in Italia e sono e uscito a dicembre 1986. Negli anni ‘82 e ‘83 non sono mai stato in Bolivia".
Dato certo è che in Sudamerica , a quel tempo, giravano molti italiani aderenti all'estrema destra come il leader ordinovista Elio Massagrande che ha dato ospitalità al piduista Licio Gelli. Oppure come lo stesso Cavallini, scappato in Bolivia dopo l'arresto nel 1981 di Giusva Fioravanti ex Nar,condannato in via definitiva per la strage di Bologna. Lì, Cavallini, avrebbe incontrato anche Delle Chiaie e Carmine Palladino. Quest’ultimo è tra i fondatori della società di import-export Odal Prima, storica cassaforte di Avanguardia nazionale, che avrebbe goduto di finanziamenti provenienti dalle banche sudamericane ove Gelli, il faccendiere Sindona e il banchiere Umberto Ortolani avevano occultato i capitali sottratti al Banco di Roberto Calvi.
Inoltre tra gli operatori d’affari vicini alla Odal Prima risulta tal “A. Bellini”, che sarebbe Aldo il padre dell’imputato Paolo.
Le udienze relative al processo sulla strage di Bologna ricominceranno a settembre dopo la pausa estiva. I ritmi saranno serrati al fine di chiudere il processo entro i primi mesi del prossimo anno. In autunno dovrebbe poi cominciare in Appello anche il procedimento di secondo grado contro Gilberto Cavallini condannato in Corte d’Assise all’ergastolo per la strage.

La strage di Bologna e l'impegno di Paola Sola
Paola Sola ha organizzato e sostenuto fino al 2000 l’associazione dei familiari vittime della strage di Bologna occupandosi di faldoni, registri, dell'accoglienza ai parenti, delle ricerche e degli archivi. "Ne è valsa la pena" ha detto in un articolo di 'La Repubblica'.
L’associazione, seguita nei primi anni da Daniela Zanetti, da via della Zecca si era sposata in seguito in via Polese. "A chi non ne voleva più sapere ripetevo: hai bisogno di cure, perché devi lasciare questi soldi allo Stato che non ti ha protetto?" ha raccontato Paola la quale quando era scoppiata la bomba il 2 agosto del 1980 era in giro in bicicletta col marito sui colli a Paderno, "raggiungemmo in fretta il piazzale, rimasi pietrificata - ha detto Paola - vidi un’amica che si sbracciava, ma non riuscii a fermarmi, corsi a casa e poi in Comune, ero la segretaria di Miriam Ridolfi (l’assessora di ferro che mise in piedi la macchina comunale degli aiuti, ndr). Da lì è cominciata la nostra opera, facevamo da tramite tra la Prefettura e gli ospedali e continuammo anche con l’attentato del Rapido 904. Anni dopo ho ritrovato una segnalazione su una vittima, il vestito, il colore dei capelli: era la mia scrittura. Avevo rimosso tutto, in quei momenti mi schermavo per sopportare un orrore indicibile. Ricordo quando accompagnai il dottor Moratello all’obitorio, non riusciva a riconoscere la figlia, lo riaccompagnai a casa in taxi per non lasciarlo solo".
Paola ha visto nascere l’associazione con Torquato Secci - la prima fondata in Italia, modello a tutte le altre e che quest’anno compie 40 anni - primo presidente, Paolo Bolognesi, che poi ha preso il testimone, Giorgio Gallon e 49 aderenti che poi si sono moltiplicati. Nel 1984 la Regione le aveva proposto l’incarico di segretaria dell’Ufficio di coordinamento dei famigliari delle vittime del 2 Agosto e delle altre stragi, oltre che di supporto all’associazione, "ero una semplice dipendente comunale e dissi di sì - ha spiegato Paola - il motivo? L’amica che si sbracciava davanti alle macerie era Rita Sacrati, aveva perso la mamma e la cognata lì sotto, ma io non mi ero fermata. Un peso che mi ero tenuta dentro, allora pensai che era giunto il momento di pareggiare i conti e mi feci avanti. Seguire l’associazione e quell’ufficio ha significato per me crescere, nei valori e nella consapevolezza. I primi atti che lessi erano su Musumeci, io cittadina ignara di tutto leggevo di servizi e depistaggi: ma in che mani siamo? mi ripetevo. Tutti devono sapere. E poi ho imparato ad ascoltare: gli sfoghi, la ragazza sfigurata in volto che non si accettava, la rabbia, il dolore".
L'associazione è un lavoro collettivo iniziato con giovani pionieri che digitalizzavano gli atti. Paola nel corso della suo lavoro non si è mai persa un processo per la Strage, sostenendo da sola le corse tra l’ufficio comunale e le aule di tribunale, le telefonate dalla cabina a gettoni, i faldoni da trasportare, la produzione delle fotocopie per i legali, la cura dei registri contabili e la preparazione e la cura delle richieste di risarcimento per i feriti.
"Il suo volto così bello e così carico di forza morale e di civile indignazione ha reso meno duro il mio lavoro", ha scritto Libero Mancuso su di lei, pm del primo processo. Paola nelle sue parole ha ricordato Torquato e la moglie Lidia, "lei ironica e dolce, lui intransigente nella ricerca di verità, ma tenero come persona, mi portava un cioccolatino ogni mattina in ufficio".
Una storia, quella dell'associzione,  fatta di battaglie e lotta. A cominciare dalla proposta di legge per l’abolizione del segreto di Stato nei delitti di terrorismo, 100mila firme raccolte. "Torquato ci disse di confezionarle in scatole legate da nastri tricolore, portammo a Cossiga 37 pacchi" ha raccontato Sola, ma la legge non è stata mai approvata. Infine Paola ha voluto ricordare un episodio in cui emergono trame sinistre.
"Avevo da poco messo giù il telefono con Torquato per dirgli che ero andata a prendere le pubblicazioni della requisitoria dell’Avvocatura di Stato quando si presentarono in ufficio quattro giovani in abito nero, camicia bianca e occhiali da sole a specchio, dicevano che erano studenti interessati a quelle pubblicazioni. Nessuno mi ha mai tolto dalla testa che fossero dei Servizi. Ci sentivano spiati, anche nei telefoni" ha concluso Paola.

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