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La prima sezione penale della Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria l’11 luglio del 2018 nell’ambito del processo “Reale 6” riferita alla posizione di Santi Zappalà (difeso dagli avvocati Domenico e Andrea Alvaro) ex consigliere regionale della Calabria.
Stesso annullamento è stato disposto anche per la sentenza emessa nei confronti di Giuseppe Antonio Mesiani Mazzacuva (difeso dal legale Emanuele Genovese) e Antonio Pelle (classe 1986 e difeso dall'avvocato Luca Cianferoni).
Al centro della vicenda la Procura antimafia reggina ha ipotizzato uno scambio elettorale politico-mafioso in cui sarebbero implicati i soggetti sopracitati. Secondo l'ipotesi accusatoria l'ex consigliere regionale Santi Zappalà, già sindaco di Bagnara, in occasione delle consultazioni per il rinnovamento del consiglio regionale della Calabria del 2010, avrebbe ottenuto "dall'articolazione della 'Ndrangheta operante in San Luca e comuni limitrofi la promessa di voti prevista dal terzo comma dell'articolo 416 bis del c.p in cambio dell'erogazione della complessiva somma di euro 400mila".
Inoltre gli investigatori hanno ritenuto che di tale somma, 100mila euro, sarebbero stati versati alla famiglia denominata 'Pelle-Gambazza' di San Luca mediante l'emissione di dieci assegni circolari da 10mila euro ciascuno.
"Alla difesa è stato precluso di contraddire in merito alla riferibilità 'provinciale' del patto politico-mafioso - hanno scritto i giudici ermellini - essendo stata modificata, nella parte motivazionale della sentenza, la constatazione dal punto di vista dell'organizzazione che aveva sottoscritto il patto in questione".
Il processo è stato dunque rinviato in Appello "per nuovo giudizio allo scopo di sanare il vizio motivazionale sopra rilevato e di consentire agli imputati di difendersi dalla specifica imputazione di avere partecipato a un patto politico-mafioso caratterizzato dalla promessa (e dazione) della somma di euro 100mila in favore della 'provincia' di 'Ndrangheta reggina, nella circostanza rappresentata da Giuseppe Pelle, per l'appoggio elettorale fornito dall'organizzazione al candidato Zappalà, con la fattiva ed essenziale compartecipazione di Mesiani Mazzacuva e Antonino Pelle, emissari del vertice mafioso".
In particolare, come ha definito la Cassazione, il giudice di rinvio "è chiamato a sanare il vizio motivazionale e a rinnovare il contraddittorio sulla modificata imputazione, procedendo inoltre all'esame delle questioni poste dai ricorrenti e che, in ragione dell'accoglimento dei ridetti motivi, restano assorbite in questa sede (circostanze attenuanti generiche; sesto motivo Antonio Pelle; determinazione della pena per Zappalà".
Il vizio motivazionale viene oltretutto specificato nella parte in cui "dandosi atto due precedenti assolutori sul clan 'Pelle-Gambazza', si opera un salto logico in merito alla 'mafiosità' dello scambio elettorale perché intervenuto con una affermata e radicata associazione di 'Ndrangheta mediante generico riferimento alla rilevanza mafiosa di Giuseppe Pelle riconosciuta, però, in un diverso livello della struttura mafiosa senza alcun riferimento alla 'cosca' familiare'".
Secondo i giudici della Suprema Corte, questi elementi oltre che a riverberare sul profilo della constatazione dello scambio politico-mafioso "con la cosca Pelle-Gambazza" e sulla "relazione con un esponente della 'Ndrangheta, questione fondatamente denunciata dal ricorso Zappalà, ma nei fatti estensibile agli altri ricorrenti, implica la necessità di implementare la motivazione relativa alla componente del reato costituita dal metodo mafioso nella raccolta del consenso elettorale, che, se può essere desunto da elementi sintomatici quali la forza intimidatrice del riconosciuto contesto mafioso, non può prescindere dalla compiuta dimostrazione della esistenza di esso".

Foto © Imagoeconomica

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