Questa mattina, davanti al gup di Perugia Angela Avila, si è tenuta la prima giornata di udienza preliminare per l'ex consigliere del Csm Luca Palamara insieme all'ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, e all'ex pm di Roma Stefano Rocco Fava. Le accuse a vario titolo e a seconda delle posizioni, contestate dai magistrati del capoluogo umbro, il procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini e i sostituti Gemma Miliani e Mario Formisano, che hanno chiesto il rinvio a giudizio, sono di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, accesso abusivo a sistema informatico e abuso d'ufficio. Nel procedimento risultano parti offese sia l'ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone che il procuratore aggiunto della capitale Paolo Ielo: quest'ultimo, arrivato a Perugia all'udienza al centro Capitini accompagnato dal legale Filippo Dinacci, ha chiesto di costituirsi parte civile nel procedimento nei confronti di Fava e Palamara. Richiesta di costituzione di parte civile è stata avanzata anche dall'avvocato Domenico Ielo, fratello del procuratore aggiunto, dal ministero della Giustizia e da Cittadinanzattiva. Nel corso dell'udienza l'avvocato Benedetto Buratti, che, insieme a Roberto Rampioni e Mariano Buratti, difende l'ex pm Luca Palamara, ha chiesto di citare il Consiglio Superiore della Magistratura come parte offesa nel procedimento. Il gup al momento si è riservato di decidere sulle richieste e l'udienza riprenderà nel pomeriggio. In particolare Fuzio, accusato del reato di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, "su istigazione di Palamara nel corso di una conversazione telefonica gli rivelava", secondo l'atto d'accusa dei pm della Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, "l'arrivo al Comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura di un esposto presentato da Fava avente ad oggetto comportamenti asseritamente scorretti posti in essere dall'allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone". Fuzio, inoltre, sempre secondo l'accusa "comunicava a Palamara le iniziative che il Comitato di presidenza del Csm intendeva intraprendere per verificare la fondatezza dei fatti indicati nell'esposto". In questo reato concorreva Palamara che "conoscendo le intenzioni di Fava di presentare tale esposto aveva chiesto" all'allora procuratore generale della Cassazione "di verificare l'effettiva presentazione di tale atto e di comunicargli le modalità di trattazione". Fava, all'epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale e ora giudice civile a Latina, è invece accusato di essersi "abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della sentenza di un procedimento". Fatto che secondo i pm avveniva "per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita". Il suo obiettivo, secondo l'atto di richiesta di rinvio a giudizio "era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall'incarico di procuratore di Roma e dell'aggiunto Paolo Ielo" da effettuarsi anche con "l'ausilio" di Palamara "a cui consegnava tutto l'incartamento indebitamente acquisito". A Fava e Palamara viene contestato anche il concorso in rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio "perché rivelavano ai giornalisti dei quotidiani Il Fatto Quotidiano e La Verità notizie d'ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete". In particolare i due magistrati rivelavano che l'avvocato Piero Amara "era indagato per bancarotta e frode fiscale e che Fava aveva predisposto una misura cautelare" a cui "non era stato apposto il visto". Solo per Fava c'è anche l'accusa di abuso d'ufficio in quanto avrebbe acquisito atti di procedimenti penali "per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'allora procuratore Pignatone" e "effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l'apertura di un procedimento penale a Perugia" e quindi "a cagionare agli stessi un danno ingiusto".
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