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Continua la deposizione di Mantella, in aula spiegato il ruolo di Pietro Giamborino e Gianfranco Ferrante

Ci sono state ’Ndrangheta e politica al centro dell’udienza (la terza) dedicata all’esame dell’ex boss scissionista Andrea Mantella, collaboratore di giustizia dal 2016 e teste principale dell’accusa nel maxi processo “Rinascita-Scott”. L’ex sgarrista, in video collegamento dall’aula bunker di Lamezia Terme, ha lanciato pesanti accuse contro il consigliere regionale Pietro Giamborino, uno degli imputati “eccellenti”, cugino di Giovanni Giamborino, indicato come “fedelissimo” del boss di San Gregorio d’Ippona Saverio Razionale e “factotum” del super boss di Limbadi Luigi Mancuso. Rispondendo alle domande del pm Antonio De Bernardo, Mantella ha inquadrato Pietro Giamborino (imputato nel filone cosentino per traffico di influenze e nel troncone principale di “Rinascita Scott” per associazione mafiosa e corruzione elettorale) come “un affiliato alla ‘Ndrangheta” e come “un uomo d’onore”. “Si accompagnava pure a Francesco D’Angelo, alias ‘Ciccio Ammaculata’ (figura di vertice della ‘Ndrangheta di Piscopio, ndr.) e aveva rapporti con Saverio Razionale con il quale cenava pure a Roma anche se - ha precisato - non li ho mai visti insieme”. E ancora: “Ho saputo che anche lui era ‘battezzato’ e l’ho conosciuto sempre come uomo di ‘ndrangheta. L’ho sempre visto che si atteggiava come i malandrini e frequentava con suo zio Fiore la casa di Carmelo Lo Bianco”. Inoltre, sempre secondo Mantella, in occasione di non meglio precisate competizioni elettorali (il teste non ha ricordato quali con esattezza e in quale periodo), a “favore di Giamborino sono scese in campo tutte le forze armate della ’Ndrangheta: Razionale, i piscopisani, gli stessi cugini Giamborino, Pinu u Papa, Galati e i fratelli D’Amico della Dmt Petroli (finiti recentemente nell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Petrolmafia”, ndr)”. Per precisione il teste ha ricordato di aver incitato “mio cugino e altre due persone, a reperire dei voti per Giamborino perché ci sarebbe potuto tornare sempre utile, ma io non sono mai stato un suo procacciatore di voti. So comunque che mio cugino si prodigò per raccoglierli. Ritenevo che fosse meglio avere lui al potere e non una persona che non conoscevo in quanto avremmo fatto leva sulla rete di amicizie”.

Ferrante e “Bankitalia”
Ma Mantella non ha fatto solo il nome di Giamborino. Un altro politico tirato in ballo (anche se non direttamente) dal collaboratore di giustizia, infatti, è Antonio Curello, attuale consigliere comunale a Vibo nella maggioranza che sostiene il sindaco Maria Limardo, eletto tra le file di Fratelli d’Italia del quale però non è stato mai iscritto e in precedenza consigliere comunale e provinciale in quota Pd. Non è imputato nel maxi processo, non risulta indagato e Mantella lo ha citato inserendolo nella rete degli usurai finanziata da un altro “fedelissimo” del boss Luigi Mancuso, Gianfranco Ferrante, imprenditore, conosciutissimo a Vibo in quanto ex titolare del Cin Cin Bar. Riferendosi a Curello, Mantella ha evidenziato i rapporti di parentela con i Barba ed era tra quelli che praticava usura. Il pentito si è concentrato soprattutto sulla figura di Gianfranco Ferrante indicandolo come una sorta di “Banca d’Italia della ‘Ndrangheta”: “Prendeva i soldi anche dai Mancuso e poi finanziava la rete di usurai”. Il denaro contante arrivava - secondo quanto sostenuto dal teste - da Cosmo Michele Mancuso attraverso il genero di quest’ultimo Giuseppe Raguseo e dal boss defunto di Serra San Bruno Damiano Vallelunga, al quale Ferrante era molto legato. L’imprenditore vibonese avrebbe usato questi soldi anche per una truffa compiuta - a detta sempre di Mantella - insieme a Giovanni Governa che non è imputato e non risulta indagato, consigliere comunale di Lamezia Terme nel 1991 nell’amministrazione che venne sciolta per infiltrazione mafiosa. Sempre secondo il teste, l’imprenditore Gianfranco Ferrante sarebbe stato “funzionale per sostenere la malavita nel Vibonese” e utilizzato anche per veicolare messaggi “da me, Pantaleone Mancuso ‘Scarpuni’ e Damiano Vallelunga. Si parlava di estorsioni e di ‘ndrangheta. Io certo - ha spiegato il collaboratore di giustizia - non esercitavo la professione del prete, io esercitavo una professione militare all’interno della ‘ndrangheta. Ferrante si prestava a mettere in atto estorsioni per conto mio e di Pantaleone Mancuso ‘Scarpuni'”. Proventi illeciti utilizzati per pagare anche gli avvocati. Mantella fa il nome di un noto giurista romano, legato alla massoneria e inserito in quella che viene definita la “rete di protezione” di Luigi Mancuso: “Era stato pagato per annebbiare qualche sentenza in Cassazione”.

I verbali del pentito su due magistrati antimafia di spicco
Intanto giovedì c’è stata una importante novità a processo, si tratta di due verbali, sullo stesso fatto e con la stessa accusa - rivelazione di segreto d’ufficio - fatti dal collaboratore di giustizia di Rocca di Neto, Francesco Oliverio, 51 anni, di Belvedere Spinello, provincia di Crotone, detto “il lupo”, in passato esponente di spicco della ’ndrina “Oliverio-Marrazzo-Ionà”. Oliverio avrebbe accusato due magistrati di grande livello che con le loro inchieste hanno inferto colpi durissimi alla ’Ndrangheta.
Uno avrebbe lavorato per la Direzione nazionale antimafia e l’altro sarebbe in servizio alla Dda di Milano. I verbali di interrogatorio resi dal collaboratore di giustizia sono finiti per competenza giurisdizionale al vaglio della Procura di Salerno e a quella di Brescia. Mentre i giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia si sono riservati sulla decisione di acquisire tali carte o, in alternativa, sulla convocazione di Oliverio al maxi processo.

Foto © ACFB

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