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Antoci: "Sarò presente in Aula Bunker per guardarli negli occhi"

L’operazione Nebrodi, che all’alba del 15 gennaio 2020 ha sgominato i clan tortoriciani rei di aver ricostituito un’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata, tra le altre cose, alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche dell’unione Europea, leggasi truffa all’AGEA, con 94 arrestati e 151 aziende agricole sequestrate, è giunta, con la chiusura delle indagini preliminari, a processo: si parte martedì 2 marzo 2021 nell’Aula bunker di Messina. 
Il Gup di Messina, Simona Finocchiaro, tra richieste di riti abbreviati e patteggiamenti, ha rinviato a giudizio 111 persone. 
L’operazione antimafia, la più imponente nel messinese dopo il processo Mare Nostrum del 1994 che aveva sentenziato un’apparente e momentanea tregua tra lo Stato e la mafia, è stata condotta dai Carabinieri del R.O.S e dal G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Messina ed era stata coordinata dal Procuratore capo Maurizio De Lucia
Le dichiarazioni emerse dagli investigatori in conferenza stampa avevano delineato un quadro criminale tanto preciso quanto inquietante: la mafia dei Nebrodi, ribattezzata mafia dei pascoli, sarebbe stata in grado attraverso strumenti e connivenze di attuare una sofisticata attività per “intercettare flussi finanziari dell’Unione Europea finalizzati allo sviluppo agricolo che in quel territorio (i Nebrodi) invece riuscivano a entrare, con una tecnica sofisticata, nelle casse delle organizzazioni mafiose”. Il tutto grazie anche a uno storico accordo tra le due consorterie criminali oricensi, un tempo rivali, che “in armonia si sono sostanzialmente spartite il territorio” con la suddivisione di tutti i terreni “intestati prevalentemente a dei prestanome e utilizzati per ottenere i finanziamenti comunitari”. Si tratta di una neo-costituita organizzazione criminale interessata al business della Politica Agricola Comunitaria e capace di tessere, altresì, collegamenti con altri mandamenti di Cosa Nostra. 
Un artefatto sistema di agromafie le cui prime attività criminali, in affari con la cosiddetta zona grigia,  erano state monitorate dal Commissariato di Polizia di Sant’Agata Militello a guida dell’allora vice-questore aggiunto Daniele Manganaro (operazione Gamma Interferon) ed erano state successivamente indebolite dall’introduzione del Protocollo Antoci, dal 27 settembre 2017 Legge dello Stato, che all’art. 2 imponeva, tra le altre cose, ai soggetti concessionari l’obbligo di “non concedere a terzi la titolarità o l’utilizzo totale o parziale del bene concesso e di denunciare immediatamente all’Autorità Giudiziaria o a quella di Polizia Giudiziaria ogni illecita richiesta di denaro o altra utilità ovvero offerta di protezione o estorsione di qualsiasi natura che venga avanzata nei propri confronti o di familiari.” 
E nell’ordinanza il Gip sottolinea infatti: “... nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato... Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia”. 
Queste le dichiarazioni di Giuseppe Antoci, Presidente Onorario Fondazione Antonino Caponnetto, che in questa vicenda ha anche affrontato i veleni del mascariamento: “Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni - dichiara Antoci - ricca, potente e violenta, ed è per questo che hanno tentato di uccidermi. Volevano fermare la legge nazionale e tutto quello che sta accedendo oggi. Io sarò presente il 2 marzo all’Aula Bunker e li guarderò dritti negli occhi, senza paura, senza indugi e con l’unica forza che ho: quella dello Stato”.

Foto © Imagoeconomica

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