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Il gip del tribunale di Messina, Simona Finocchiaro, accogliendo la richiesta della Procura diretta da Maurizio De Lucia, ha disposto l'archiviazione dell'inchiesta aperta nei confronti delle posizioni dell’ex pm di Caltanissetta Annamaria Palma (oggi avvocato generale di Palermo) e Carmelo Petralia (attuale procuratore aggiunto di Catania), che erano stati indagati con l’accusa di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra in quanto "sono insussistenti gli elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell'accusa di calunnia a carico degli indagati". 
I due magistrati facevano parte del pool che coordinò l'indagine sull'attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. A entrambi si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall'avere favorito Cosa nostra.
Nell'ipotesi accusatoria, in concorso con tre poliziotti tuttora sotto processo a Caltanissetta per la medesima accusa - Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo - i due pm avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D'Amelio imbeccando tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, e suggerendo loro di accusare dell'attentato persone ad esso estranee.
Quelle false accuse avevano poi portato all'ingiusta condanna all'ergastolo nei confronti di sette persone: Cosimo Vernengo, Gaetano La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso e Natale Gambino. I sette, ora persone offese dal reato, si erano opposte alla richiesta di archiviazione presentata dai pm.
La Procura di Messina aveva aperto l'inchiesta su input dei colleghi nisseni che, un anno fa, aveva trasmesso la sentenza del processo Borsellino quater in cui, per la prima volta, si parlava espressamente del depistaggio delle indagini.
Scrivevano i pm nella richiesta di archiviazione che "le indagini, doverosamente svolte secondo l'indicazione della Corte di assise di Caltanissetta, pur avendo imposto a quest'ufficio un considerevole dispendio di energie ai fini di soddisfare il canone della completezza, non hanno consentito di individuare alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino".
"Indubbiamente, - scriveva sempre la Procura di Messina - senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, di tale falsità non vi sarebbe stata alcuna certezza; tale dato deve fare riflettere su un sistema processuale che, in ben tre gradi di giudizio, non è riuscito a svelare tale realtà. Tuttavia, questa valutazione esula dai compiti di questa Procura della Repubblica, così come ogni valutazione concernente profili diversi da quello penale, per gli indagati e per i magistrati comunque coinvolti nella vicenda processuale". Nella giornata di oggi il deposito della decisione che chiude l'inchiesta.

Nessuna condotta rilevante
Scrive il Gip nel provvedimento che "la corposa attività di indagine posta in essere dall'Ufficio di Procura di Messina non ha consentito di individuare alcuna condotta penalmente rilevante a carico dei magistrati". "Non deve dimenticarsi - scrive il gip - che, per la configurabilità del reati per il quale si procede, dovrebbe dimostrarsi che i magistrati, oltre a essere stati consapevoli della falsità delle dichiarazioni di Scarantino, erano altresì consapevoli dell'assoluta innocenza degli opponenti, consapevolezza non ravvisabile nei casi di dubbio, non potendo individuarsi il dolo del reato di calunnia nel dolo eventuale". Spiega ancora il giudice che "sono insussistenti gli elementi probatori certi e univoci tali da consentire la sostenibilità in un eventuale futuro dibattimento dell'accusa di calunnia a carico degli indagati". Per questo motivo "sotto il profilo soggettivo meritano accoglimento" le richieste di archiviazione della Procura di Messina. Per il gip Simona Finocchiaro "non si ravvisa l'utilità di ulteriori indagini" e "un eventuale approfondimento dibattimentale non consentirebbe l'esplorazione di alcun tema di indagine nuovo rispetto a quelli già ampiamente analizzati nel corso degli anni e da ultimo con l'attività posta in essere dalla Procura di Messina". 

La questione Scarantino
Le conclusioni del giudice riguardano anche le dichiaraizoni di Vincenzo Scarantino, sicuramente indotto a mentire, ma il cui contributo ancora oggi viene ritenuto ondivago. "Vincenzo Scarantino - scrive il giudice Finocchiaro - dopo avere sostenuto che la propria collaborazione era stata stimolata da Arnaldo La Barbera (l'ex dirigente della Mobile di Palermo ndr) e Mario Bò, ha affermato che le dichiarazioni rese ai magistrati nella prima fase della sua collaborazione erano il frutto di 'imbeccate' provenienti dai poliziotti che lo gestivano, e in particolare da Arnaldo La Barbera. Inoltre, nel momento cui concordava con i poliziotti le dichiarazioni da rendere in sede di interrogatorio, i magistrati non erano presenti". E poi ancora: "Scarantino ha poi attribuito a iniziative personali dei magistrati della Procura di Caltanissetta la sostituzione dei propri difensori laddove, invece, escusso l'avvocato Li Gotti, questi ha specificato di avere rinunciato al mandato per problemi di salute nonché per incompatibilità con la sua posizione di difensore anche di Gioacchino La Barbera". Il Gip ha anche evidenziato come il picciotto della Guadagna "si sente ancora oggi minacciato". "Scarantino ha dichiarato - scrive il gip - di sentirsi ancora oggi minacciato pur non essendo in grado di fornire elementi a sostegno di tali suoi timori". 
Certo è che la falsità delle sue dichiarazioni su via d'Amelio furono possibili solo grazie all'inizio della collaborazione con la giustizia dell'ex boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza.
"Senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, iniziata nel 2008, delle falsità delle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino non vi sarebbe stata alcuna certezza - ha ammesso la Finocchiaro - Inoltre, la condotta volubile di Scarantino, e le dichiarazioni da questi rese nel tempo, contraddittorie e scostanti, non consentono di stabilire quali delle sue affermazioni debbano ritenersi genuine anche con riguardo agli addebiti mossi ai magistrati che si sono occupati della vicenda".
Nel provveidmento il Gip afferma anche che Annamaria Palma "non autorizzò i colloqui investigativi" dell'ex pentito Vincenzo Scarantino. "Pur non potendosi negare l'anomalia di tali colloqui - scrive ancora - anche per le motivazioni per le quali alcuni di essi vennero concessi, deve comunque tenersi conto della disciplina vigente all'epoca che non prevedeva l'attuale divieto di colloqui investigativi con il collaboratore durante la redazione dei verbali di collaborazione o comunque fino alla redazione del verbale illustrativo della collaborazione".


In foto: Carmelo Petralia e Annamaria Palma © Imagoeconomica

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