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La Corte d'Assise di Caltanissetta condanna all'ergastolo il super latitante di Cosa nostra

Dopo 13 lunghissime ore in camera di consiglio i giudici della Corte d'Assise di Caltanissetta hanno condannato all'ergastolo il super latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro con l'accusa di essere mandante delle stragi del 1992. Il giudice Roberta Serio ha dunque accolto le richieste del pm Gabriele Paci. La sentenza riconosce il ruolo nella 'strategia stragista' di Cosa Nostra del latitante di Castelvetrano (Trapani), come anello di collegamento tra le bombe del 1992 pretese da Totò Riina e gli attentati nel nord Italia, a Firenze, Milano e Roma del 1993 (anno in cui si diede alla latitanza), volute da Bernardo Provenzano.
In questi tre anni di processo davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta sono stati auditi decine di collaboratori di giustizia che hanno ricostruito il quadro dei mesi precedenti agli attentati di Capaci e via d'Amelio nei quali morirono i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e i valorosi uomini e donne delle loro scorte.
"La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza - aveva detto il pm nel corso della requisitoria - dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa Nostra di continuare nel proprio intento: anzi, più che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese". Sempre durante le udienze dedicate alla requisitoria Paci aveva parlato di "unanimità dei consensi al progetto sulle stragi di Totò Riina collegiale". "Totò Riina - aveva detto Gabriele Paci - può contare su un gruppo di persone fidate che si chiama 'supercosa'. Fu la 'supercosa', aveva spiegato il procuratore in aula, a decidere "le stragi a Castelvetrano tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1991". Alla "supercosa" il Capo dei Capi affidò il compito di organizzare la missione romana nella quale doveva essere assassinato Giovanni Falcone. Questo, aveva affermato, "rafforza Riina non soltanto perché ha un gruppo segreto che fa capo a lui ma perché questo gruppo gli consentirà tra le varie opzioni operative di optare per quella che era più funzionale alla realizzazione dei suoi interessi. Scartata la missione romana sceglie quella di Capaci. Indipendente dall'esito la supercosa rafforzò i propositi di Totò Riina, con un gruppo di persone pronto ad uccidere. Nell'ottobre del '91, con l'appoggio di Messina Denaro, Totò Riina, seppe che aveva questa disponibilità di uomini e mezzi", aveva ribadito. Sempre nel corso della sua requisitoria il pm aveva affermato che il giudice Paolo Borsellino era da tempo finito nel mirino della "primula rossa" perché "poco prima delle Stragi aveva chiesto l'arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti". Per Matteo Messina Denaro, il magistrato era colui che aveva scritto l'ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza", aveva aggiunto il pm Paci. "Nel gennaio 1990 il magistrato aveva chiesto la sorveglianza speciale e il divieto di dimora per don Ciccio, ma il Tribunale di Trapani rigettò la richiesta, ma sulla base delle stesse accuse nell'ottobre dello stesso anno venne emesso un ordine di cattura nei confronti del capomafia". "Avere il consenso di Matteo Messina Denaro - aveva detto ancora il Pm Paci, che oggi è reggente della Procura - gli consentiva di avere delle spie in ogni anfratto di Cosa Nostra che potevano portare alla luce quelli che erano i dissensi interni. Matteo Messina Denaro serve proprio a questo, a stanare e uccidere i riottosi". "Quando nel 1991 comincia la guerra di mafia Paolo Borsellino opera nel trapanese, nel territorio gestito da Matteo Messina Denaro. Abbiamo ripercorso quegli anni maledetti - aveva detto il pm nel suo intervento - Totò Riina, per iniziare la stagione stragista, dovette veramente convincere i rappresentati provinciali della bontà del suo progetto, riuscire a costruire il consenso. Non è sostenibile che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso a prescindere quella strada senza avere il consenso di Cosa Nostra, perché se ci fosse stato il dissenso di una delle province ci sarebbe stata una guerra. La storia di quegli anni non sarebbe stata la stessa. Messina Denaro non può aver prestato consenso con riserva. Fu lui più di tutti l'uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno". Adesso è arrivata la sentenza che ritiene "diabolik" mandante di quegli attentati. Una condanna che va ad aggiungersi a quella per le bombe in continente del 1993 per le quali Messina Denaro era stato ugualmente ritenuto uno dei mandanti di Cosa nostra.

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