Coinvolti nell’inchiesta della Dda Andrea Pirozzi, Veronica Biondo, Giuseppe Nuzzo e Marcantonio Ferrara
Solo quattro giorni fa Veronica Biondo (in foto), vicesindaco di Santa Maria a Vico, presentava la sua candidatura alle Regionali campane per Forza Italia in una convention a Caserta. Oggi è agli arresti domiciliari, coinvolta in un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Tra le misure cautelari eseguite stamane dalla Guardia di Finanza di Caserta, la sua figura spicca per il ruolo politico e per la rapidità con cui la vicenda è precipitata. Nel video diffuso dalla testata locale edizionecaserta.net, Biondo veniva introdotta dall’europarlamentare Fulvio Martusciello, che poi aveva commentato sui social: “Bravissima”. Lei, dal palco, dichiarava: “Sono tornata a casa, Fi è stata la mia prima tessera, la mia prima e unica”.
Insieme a Biondo sono finiti ai domiciliari anche il sindaco Andrea Pirozzi, il consigliere di maggioranza Giuseppe Nuzzo e l’ex assessore Marcantonio Ferrara. Le misure sono state disposte dal gip di Napoli nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura antimafia guidata da Nicola Gratteri, che indaga sui legami tra esponenti politici locali e il clan Massaro. Ai due boss del clan, Raffaele Piscitelli e Domenico Nuzzo, il giudice ha invece imposto la custodia cautelare in carcere. Le accuse contestate vanno dallo scambio politico-mafioso all’induzione indebita a dare o promettere utilità, fino alla rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e al favoreggiamento personale.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura, le indagini della Guardia di Finanza di Caserta, guidata dal colonnello Nicola Sportelli, erano iniziate nel 2020, poco prima delle elezioni comunali vinte da Pirozzi. Già in quella fase erano emersi gli interessi del clan Massaro nei lavori di ampliamento del cimitero comunale. Con il progredire delle indagini, gli inquirenti hanno scoperto un sistema di rapporti tra membri del clan e amministratori comunali, centrato proprio sulle elezioni del 2020. Il gruppo criminale avrebbe organizzato la distribuzione dei voti, sostenendo non solo la lista di Pirozzi, ma anche un candidato di una lista avversaria, necessario per mantenere il proprio ruolo di consigliere provinciale. Dalle intercettazioni emerge che i camorristi conoscevano in anticipo l’esito del voto e addirittura assegnavano ruoli e incarichi ai futuri eletti.
Le ipotesi accusatorie indicano che, in cambio del sostegno elettorale, il clan avrebbe ottenuto lavori, appalti e assunzioni. Tra i progetti più ambiti, la costruzione di un impianto di cremazione accanto al cimitero, con l’affidamento del servizio a una società riconducibile a un affiliato del clan. Il gruppo avrebbe inoltre ricevuto dal Comune la concessione per la gestione di un chiosco-bar nella frazione San Marco, senza pagare alcun canone e nonostante l’ordine di demolizione per abusi edilizi. Dalle indagini emergono anche pressioni su un imprenditore vincitore di un appalto comunale per assumere una persona vicina al clan e l’interesse per la gestione di un’area fieristica, progetto per il quale alcuni consiglieri comunali si sarebbero impegnati a modificare il regolamento comunale.
