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L’ex presidente della Fondazione Fiera ed ex titolare della società degli “spioni”: “Non avevo le competenze informatiche”

 Per oltre dodici ore, Enrico Pazzali (in foto) ha risposto alle domande del pubblico ministero Francesco De Tommasi. È stato un interrogatorio lungo e teso, quello a cui l’ex presidente della Fondazione Fiera e di Equalize, l’agenzia investigativa al centro dell’inchiesta milanese sui dossieraggi illegali, si è sottoposto accompagnato dal suo avvocato Federico Cecconi. Pazzali, ritenuto dagli inquirenti il capo della presunta rete di 007 abusivi, si è difeso con forza: “Non ho mai autorizzato o consentito attività illecite”. L’ex manager ha poi scaricato ogni responsabilità sui suoi collaboratori più stretti, in particolare su Carmine Gallo, ex poliziotto e suo uomo di fiducia, deceduto a marzo di quest’anno, e sull’hacker Samuele Calamucci. “Mi fidavo di Gallo, era un amico intimo, ma mi ha tradito e rovinato”, ha sottolineato Pazzali, sostenendo di non aver mai saputo nulla delle attività illegali condotte all’interno della società. “Solo dopo aver letto gli atti ho capito cosa si era ordito ai miei danni”, ha aggiunto, precisando anche che, se avesse saputo che Gallo accedeva abusivamente alle banche dati delle forze dell’ordine, “lo avrei redarguito duramente, forse cacciato, e avrei chiuso Equalize”. Fatto sta che Pazzali sembra aver insistito su un punto in modo particolare, spiegando che non era lui a gestire l’operatività dell’agenzia, ma i suoi collaboratori: “Io non avevo competenze informatiche”. E precisa: “Pensavo che le informazioni arrivassero da fonti pubbliche, non da accessi abusivi”.

Eppure, le carte dell’inchiesta raccontano altro. I pm hanno trovato tracce di richieste di report su numerose persone, dai manager ai politici, fino a semplici cittadini. In un caso, Pazzali avrebbe chiesto informazioni persino su una collaboratrice domestica: “L’ho fatto per curiosità”, si è giustificato. Tra i nomi emersi ci sono anche quelli del governatore lombardo Attilio Fontana e del presidente del Senato Ignazio La Russa. Con il primo - ha precisato Pazzali - c’era “un rapporto di amicizia e protezione reciproca”. Il manager racconta di aver chiesto a Gallo un report su una persona che Fontana avrebbe dovuto incontrare, un uomo legato a una società impegnata nei rapporti commerciali tra Italia e Iran. “Fontana era preoccupato, voleva sapere chi aveva davanti. Io mi sono attivato per dargli una mano”, dice, negando che l’obiettivo fosse quello di spiare per conto del presidente della Regione.

Diversa, invece, la vicenda che coinvolge La Russa. Pazzali ha ammesso di aver inserito i nomi di Ignazio La Russa e dei figli Leonardo e Geronimo nei test di “Beyond”, la piattaforma informatica utilizzata da Equalize per raccogliere informazioni. Ma, precisa, si trattava di semplici prove tecniche: “Non ho mai fatto nulla contro La Russa o la sua famiglia. Anzi, l’eventuale attività sarebbe stata a suo vantaggio, non contro di lui”.

Infine, anche sulle presunte intercettazioni illegali ordinate ai danni di giornalisti e imprenditori, Pazzali ha negato ogni coinvolgimento: “Non ho mai commissionato nulla del genere. Quelle attività le ha condotte Gallo in autonomia. Pensava di compiacermi, ma io non ne sapevo nulla”.

Foto © Imagoeconomica 

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