Dopo le scarcerazioni dei fratelli Moccia, il procuratore affianca i pm nel processo fermo da tre anni di udienze
Dopo che nel processo contro il clan Moccia sono state disposte altre sei scarcerazioni, che si aggiungono alle nove già avvenute a inizio agosto, il totale sale a quindici imputati. Tra questi figurano esponenti di spicco come Antonio, Luigi e Gennaro Moccia, che affronteranno da liberi il dibattimento. Le liberazioni sono dovute alla scadenza dei termini di custodia cautelare, fissati in tre anni, che i giudici hanno ritenuto “insuperabili” anche dopo il trasferimento del processo da Aversa-Napoli Nord al Tribunale di Napoli. In parole semplici, dopo tre anni di dibattimento non si è arrivati nemmeno alla sentenza di primo grado. Le udienze, spesso rinviate o brevi, non sono bastate neppure per chiudere l’esame dei testimoni dell’accusa. Solo di recente è cominciata la controffensiva della difesa, che ha presentato una lista imponente: quasi mille testimoni. Date le circostanze, il caso è presto diventato un caso nazionale. Così, durante il processo al Tribunale di Napoli, si è presentato anche il procuratore capo Nicola Gratteri, con indosso la toga, seduto accanto ai pm Ida Teresi e Ivana Fulco. Quella di Gratteri è una mossa che va oltre il gesto formale: è un segnale forte, che riporta l’attenzione su uno dei mali cronici della giustizia italiana, la lentezza dei processi. Già ad agosto, il procuratore aveva chiesto al coordinatore della Direzione distrettuale antimafia, Sergio Amato, una relazione sui ritardi e sull’andamento delle udienze.
Dopo le scarcerazioni, il presidente facente funzioni del Tribunale ha disposto un’accelerazione del calendario, portando le udienze a quattro per settimana. Ma la decisione non è stata accolta senza polemiche, con la Camera Penale di Napoli che ha proclamato uno sciopero di quattro giorni, denunciando quella che considera una “compressione del diritto di difesa”. Gratteri, tuttavia, ha scelto di ribaltare la prospettiva. Intervenendo direttamente in aula, ha voluto ricordare come un processo come quello al clan Moccia richieda un impegno straordinario. “Si può e si deve lavorare di più - ha spiegato -, anche fino a sera. Le udienze devono essere più lunghe e più frequenti”. Per chiarire meglio il punto centrale della questione, il procuratore ha ricordato il maxi-processo Rinascita Scott, celebrato a Lamezia Terme, dove le udienze si protraevano fino alle quattro del mattino pur di evitare che gli imputati venissero liberati per scadenza dei termini.
A Napoli, invece, la media è sconfortante: in due anni e mezzo si sono celebrate appena sessanta udienze, della durata di circa due ore e mezza ciascuna. Dati che, per Gratteri, dimostrano un’inefficienza strutturale non giustificabile con l’esigenza di tutelare il diritto alla difesa. “Non abbiamo mai negato nulla - ha ribadito -, nemmeno le lunghissime liste dei testimoni presentate dalle difese. Ma se oggi il processo si ferma perché i testimoni non si presentano, non si può dire che la responsabilità sia della Procura”.
Foto © Paolo Bassani
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