Luigi Li Gotti: “Non si può bloccare un arresto per motivi geopolitici. La legge è uguale per tutti”
La posizione già delicata del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sul caso Almasri non sembra migliorare. Al contrario, si arricchisce di ulteriori dettagli che potrebbero compromettere ulteriormente la sua posizione nella vicenda che riguarda, appunto, il rimpatrio del torturatore libico con un volo di Stato. Le ultime ricostruzioni, emerse anche grazie a scambi di e-mail interne, smentirebbero infatti la versione fornita dal ministro al Parlamento, secondo cui il suo dicastero sarebbe entrato in possesso degli atti ufficiali della Corte penale internazionale soltanto il 20 gennaio 2025. Dai documenti acquisiti dal Tribunale dei ministri emerge invece che già il 19 gennaio, poche ore dopo l’arresto a Torino del generale libico accusato di crimini contro l’umanità, gli uffici del Dipartimento degli Affari di Giustizia avevano ricevuto e condiviso il mandato di arresto e altri allegati ufficiali. Non solo: come ANTIMAFIADuemila ha già avuto modo di spiegare seguendo la vicenda fin dal suo inizio, con la decisione del noto avvocato Luigi Li Gotti di sporgere denuncia contro il governo, è anche emerso che in quelle stesse ore la capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, raccomandava di usare canali criptati come Signal per gestire la comunicazione, segnalando la natura “politicamente delicata” della vicenda. Una discrepanza temporale e sostanziale che, secondo i giudici, mina la credibilità delle dichiarazioni rese in aula e rafforza l’accusa di aver ostacolato la cooperazione con la CPI per motivi politici e diplomatici.
Si tratta, in pratica, di una ricostruzione che si innesta perfettamente nel quadro già delineato dall’inchiesta del Tribunale dei ministri, che il 6 agosto ha portato all’archiviazione per la premier Giorgia Meloni e alla richiesta di autorizzazione a procedere per Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.
Proprio la cronologia di quella domenica 19 gennaio mostra che già dalle prime ore del mattino funzionari e dirigenti del Dipartimento Affari di Giustizia (Dag) erano stati informati dell’arresto, avevano chiesto e ricevuto documenti ufficiali, compreso il mandato di arresto, e li avevano condivisi all’interno del ministero. A mezzogiorno e mezzo, un funzionario dell’Interpol aveva inviato per e-mail i documenti con tanto di foto e allegati; poco dopo, la direttrice Emanuela Guerra aveva avvisato il capo del Dag, che a sua volta aveva informato il capo di Gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi. Le comunicazioni si sarebbero poi intensificate nel pomeriggio quando, oltre a ulteriori messaggi via e-mail, durante una riunione riservata in videoconferenza con il sottosegretario Mantovano e il capo dell’Aise, si era discusso dell’impatto che l’arresto del generale Almasri avrebbe avuto sui rapporti tra Libia e Italia. Poco dopo la videoconferenza, Bartolozzi avrebbe raccomandato di evitare ulteriori comunicazioni via e-mail e di usare solo canali criptati come Signal.
Il caso Bartolozzi e le tensioni politiche
Proprio attorno alla figura del capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, sembra che si stia creando un ulteriore terreno di scontro. Soprattutto per quanto riguarda governo e opposizioni. Tutto ruota attorno alla possibilità che Bartolozzi possa essere chiamata a rispondere di dichiarazioni ritenute false dal Tribunale dei ministri. Su questa eventualità, Matteo Salvini ha affermato che non lascerebbe mai soli i propri funzionari se finissero in difficoltà giudiziarie. Parole, quelle pronunciate dal vicepremier, che arrivano in un momento particolare: quello in cui, almeno sul piano mediatico, è iniziata a circolare l’ipotesi che il governo possa persino ricorrere al segreto di Stato pur di proteggere Bartolozzi. Ipotesi che - spiega “Il Corriere della Sera” - Palazzo Chigi ha smentito in maniera netta, sostenendo che “non c’è nessun segreto da tutelare” e che “tutto è stato fatto con trasparenza”, come precisato da fonti di piazza Colonna.
Le accuse di Li Gotti e il nodo del segreto di Stato
A parlare della vicenda Almasri, indubbiamente sempre più spinosa per l’Esecutivo, è stato nuovamente l’avvocato Luigi Li Gotti, questa volta ai microfoni de Il Fatto Quotidiano. Chiaro e pragmatico come sempre, l’avvocato che ha dato il via alla vicenda con un esposto alla Procura di Roma è andato dritto al punto: “Se non vogliono eseguire i mandati d’arresto devono ritirarsi dalla Corte penale internazionale, come Orbán. I nostri Servizi? Sembrano condizionati dai libici”. Sulla possibilità di eventuali ripensamenti riguardo alla scelta di presentare un esposto contro il governo, Li Gotti non ha dubbi: “Lo rifarei di corsa - ha precisato - chi ha dato al governo l’autorizzazione per compiere reati? Per liberare un criminale? La legge è uguale per tutti. Se no, facciamo come Orwell: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”. Poi, sulla possibilità di coinvolgere direttamente Bartolozzi, ha proseguito: “Vogliono scudarla, si sta sacrificando per Nordio. Per lei non ci sarebbe il rito speciale, ma se il reato è in concorso la posizione di ministro di Nordio trascina gli altri. Anche per Antonio Marzano, ministro di Forza Italia, nel 2002 negarono l’autorizzazione a procedere per lui e per i concorrenti estranei al governo”.
Per quanto riguarda il segreto di Stato, l’avvocato Li Gotti ha ricordato che non è possibile opporlo in blocco e in astratto: ogni diniego ai giudici richiede un atto specifico e motivato del presidente del Consiglio (o del delegato), caso per caso. Insomma, “non si può fare in via generale”.
Sul piano tecnico, e in particolare sul tema degli interessi italiani in Libia, Li Gotti ha osservato che la minaccia può esistere, ma ha sottolineato che lo “stato di necessità” previsto dal Codice penale tutela l’incolumità fisica, non gli interessi economici o geopolitici. Quanto al rischio per la libertà personale degli italiani in Libia, “non c’erano elementi concreti, lo dice lo stesso direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli”.
Infine, l’avvocato ha precisato il motivo che lo ha spinto a denunciare il governo sul caso Almasri: “Perché hanno violato la legge 237, approvata dal centrodestra nel dicembre 2012 per l’adeguamento allo Statuto della Cpi, fatto a Roma nel 2002. Ne menavamo vanto, ma ci eravamo dimenticati la legge. Una delle proposte l’avevo presentata io nel 2008. Ragioni di sicurezza possono essere invocate per non consegnare un documento, non per non dare seguito a un ordine di cattura. Vengono emessi solo per reati gravissimi. Dovrebbero essere furbi come Orbán - ha concluso -. Orbán non ha arrestato Netanyahu ma prima aveva ritirato la firma dallo Statuto della Cpi per evitare di essere deferito al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La procedura che rischia l’Italia”.
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