La procura non esclude alcuna ipotesi e segue la pista delle minacce, dei traffici illeciti e delle falle nella sicurezza
Il carcere La Dogaia di Prato continua a essere al centro dell’attenzione, anche mediatica, dopo la morte di Costel Scrupcaru, detenuto romeno di 58 anni, trovato privo di vita venerdì scorso in una cella di isolamento. Un decesso ancora avvolto nel mistero. La procura, al momento, non esclude l’ipotesi di un caso sospetto, e non solo per le circostanze in cui è avvenuto, ma anche per il ruolo centrale che l’uomo rivestiva all’interno delle dinamiche criminali del carcere: Scrupcaru era infatti tra i protagonisti della rivolta scoppiata il 5 luglio ed era considerato una figura di spicco tra i reclusi. A questa circostanza si aggiunge il sospetto che, nonostante fosse in isolamento, Scrupcaru possa essere stato raggiunto da intimidazioni da parte di altri detenuti, i quali - secondo quanto riportato da Repubblica - sembrerebbero godere di una certa libertà di azione anche in quelle sezioni. Non si esclude nemmeno l’ipotesi che il 58enne possa aver subito un’aggressione nei giorni precedenti, e che le sue condizioni siano peggiorate fino a risultare fatali. A complicare ulteriormente la vicenda, ci sono dei buchi nelle registrazioni delle telecamere installate nel corridoio della sezione dove si trovava: le riprese mostrano una sola persona che si avvicina alla cella il giovedì pomeriggio, diverse ore prima del ritrovamento del corpo, avvenuto la mattina successiva. Una situazione definita “anomala” da una fonte investigativa.
Anche se ora si attendono i risultati dell’autopsia, ciò che è certo - e che lascia riflettere - è il fatto che nella cella non sono stati trovati né medicinali né droga, né strumenti o messaggi che possano far pensare a un gesto volontario; motivo per cui, almeno per il momento, l’ipotesi del suicidio sembra essere stata quasi del tutto esclusa.
Intanto, mentre si cerca ancora di ricostruire le sue ultime ore, si chiude la prima parte dell’indagine che ha fatto esplodere il cosiddetto “caso Dogaia”: è stato scoperto un vasto traffico di droga e cellulari, anche molto sofisticati, all’interno del carcere. Secondo la procura diretta da Luca Tescaroli, si tratta di una vera e propria rete illegale ben radicata, con 33 detenuti indagati e ben 41 dispositivi trovati - inclusi cellulari, microcellulari, smartwatch e schede SIM - nelle sezioni di alta e media sicurezza. Oltre a questo, in diverse occasioni sono stati documentati episodi di introduzione di cocaina e hashish, nascosti nei modi più ingegnosi: dentro contenitori di sugo, pacchi di vestiti, in un frigorifero e perfino direttamente nelle celle.
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