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Già nel 2021 l’Anac segnalava Tancredi. Oggi l’inchiesta urbanistica rivela un’Italia in crisi... anche di case 

La vasta inchiesta giudiziaria sull’urbanistica a Milano, che nei giorni scorsi ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di ben 74 persone, tra cui nomi noti della politica come l’assessore alla Rigenerazione Urbana di Milano, Giancarlo Tancredi; il sindaco Giuseppe Sala; l’architetto di fama internazionale Stefano Boeri; e il costruttore Manfredi Catella, anche lui particolarmente noto, al punto da essere soprannominato il “re del mattone di Milano”, ha letteralmente travolto il capoluogo lombardo, con decine di progetti edilizi finiti sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti. Si tratta, perlopiù, di interventi che nei fatti hanno rappresentato l’emblema della trasformazione urbana milanese, come quelli che hanno interessato, ad esempio, Porta Nuova, l’area di Scalo Romana o il progetto del Pirellino. Insieme a molti altri - oltre cento cantieri - questi interventi avrebbero raggiunto complessivamente un valore stimato attorno ai 12 miliardi di euro.

La Procura ha chiesto misure cautelari per diversi indagati, compresi Catella e Boeri. In pratica, gli inquirenti stanno cercando di fare chiarezza attorno a un sistema illecito che avrebbe favorito costruzioni irregolari grazie a intrecci tra funzionari pubblici, tecnici e imprenditori. Tutti sarebbero stati pronti a lucrare attraverso un meccanismo di “speculazione edilizia selvaggia”. Le accuse, che vanno dalla corruzione al falso, delineano un contesto illecito che avrebbe accompagnato il celebre modello di sviluppo urbano alla base della rapida trasformazione di Milano. Un modello sostenuto da investimenti importanti - circa 30 miliardi di euro negli ultimi vent’anni - che ha ridisegnato il volto della città con grattacieli, spazi verdi e una forte attrazione per i capitali esteri. Una crescita che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata però accompagnata da speculazioni sui prezzi e da crescenti ombre sulla trasparenza dell’amministrazione pubblica, alimentando così i numerosi interrogativi sul fragile equilibrio tra sviluppo e legalità. Insomma, Milano, da tempo divenuta simbolo di rigenerazione urbana e centro economico, è ora finita al centro di un’inchiesta giudiziaria per presunta corruzione sistemica che potrebbe, nei fatti, togliere la maschera a un vero e proprio sistema speculativo, incline a fare affari spesso complessi, i cui ingranaggi non sono più oliati dalle tangenti, ma da consulenze d’oro. 


Il caso del Pirellino

Tra tutti, un caso in particolare sembra rilevante all’interno di questo intreccio tra urbanistica, speculazione e interessi privati: quello del Pirellino, un ex edificio comunale costruito nel 1966 in via Pirelli come sede dei servizi tecnici. Nel 2019 è stato acquistato all’asta da Coima, la società fondata dal costruttore Manfredi Catella, per 175 milioni di euro. Da allora, però, i lavori di riqualificazione non sono mai partiti, a causa di ostacoli burocratici e di norme urbanistiche nel frattempo modificate. Proprio questo lungo stallo, secondo la Procura, avrebbe rivelato un sistema di accordi sotterranei tra soggetti pubblici e privati, pensati per ottenere vantaggi illeciti in ambito edilizio. 


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Giuseppe Sala 

Dopo l’acquisto del grattacielo di via Pirelli, Coima aveva lanciato un concorso per riqualificarlo con un progetto firmato anche dall’architetto Stefano Boeri. Progetto che, come detto, ha subito un notevole rallentamento a causa dell’aggiornamento del Piano di governo del territorio, il quale imponeva, per i nuovi edifici residenziali superiori a una certa volumetria, una quota obbligatoria del 20% destinata all’edilizia sociale. Nel frattempo, la Procura ha approfondito il modo in cui è stato gestito il progetto. Tra marzo e ottobre 2023, la Commissione Paesaggio del Comune ha espresso ben quattro pareri sul piano di riqualificazione del grattacielo: inizialmente contrari, poi via via sempre più favorevoli, fino al via libera finale. Ed è qui che arrivano i sospetti. 

Secondo gli inquirenti, questo cambiamento potrebbe non essere stato il frutto di una semplice revisione tecnica, ma il risultato di pressioni indebite esercitate da Catella e Boeri su membri della Commissione, sull’assessore Giancarlo Tancredi e sul sindaco di Milano, Giuseppe Sala.


Milano sarà il nuovo modello speculativo?

Ammesso che non lo sia già diventata, tra i primi ad avere qualche dubbio sull’architetto Tancredi era stata l’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, che nel 2021 aveva sollevato perplessità in merito alla sua nomina come assessore alla Rigenerazione urbana del Comune di Milano. Questo perché Tancredi era passato da funzionario comunale a membro della giunta del sindaco Sala, pur essendo titolare di uno studio privato di architettura: una duplice funzione che aveva generato più di un sospetto su un possibile conflitto d’interessi.

Ad ogni modo - come ha ricordato anche “Il Fatto Quotidiano” - all’epoca dei fatti il Comune di Milano aveva rassicurato l’Anac, spiegando che Tancredi si era messo in aspettativa prima di assumere il nuovo incarico politico. Ma alcuni mesi dopo arrivò, sempre dall’Anac, una nuova segnalazione, ancora una volta legata a un possibile conflitto d’interessi.

Una segnalazione che, alla luce di quanto potrebbe emergere oggi, con la Procura che ha chiesto l’arresto di Tancredi, lascia non poco l’amaro in bocca. L’ipotesi degli inquirenti è che Tancredi abbia usato il suo ruolo pubblico per favorire determinati attori privati del settore immobiliare, in cambio di compensi camuffati da incarichi professionali, per un valore complessivo stimato attorno ai 4 milioni di euro. Motivo per il quale, il prossimo 23 luglio, Tancredi dovrà presentarsi davanti al gip (giudice per le indagini preliminari) per difendersi dalle accuse e tentare di evitare gli arresti domiciliari.

Nel frattempo, l’inchiesta giudiziaria ha aperto uno squarcio su un altro tema ben più ampio, che oggi riguarda Milano, ma che domani potrebbe interessare molte altre realtà. Infatti, sembra aumentare in maniera vertiginosa il numero delle città sempre meno orientate ai cittadini, sempre di più agli interessi speculativi e finanziari di determinati soggetti, con un numero altrettanto crescente di immobili non più progettati per essere abitati, ma per diventare strumenti d’investimento. Si tratta di veri e propri patrimoni immobiliari gestiti da grandi fondi d’investimento, anche esteri.

A far nascere questa riflessione è un altro protagonista dell’inchiesta: Manfredi Catella, fondatore e amministratore delegato di Coima, che - come ha riportato Fanpage.it - controllava ben trentatré fondi immobiliari, con un patrimonio complessivo di 10 miliardi di euro. Il più importante è il fondo ESG City Impact, il maggiore fondo italiano dedicato alla rigenerazione urbana, che coinvolge alcuni dei più importanti investitori del Paese. 


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Quello che fanno questi fondi d’investimento, in realtà, è molto semplice: acquistano immobili a basso prezzo, li valorizzano - magari con progetti iconici come grattacieli, torri o edifici particolarmente fotogenici - e poi li rivendono a cifre molto più alte, generando enormi profitti per gli azionisti. Così accade che intere aree di Milano vengano trasformate: dalla vecchia Fiera, che oggi è diventata CityLife, all’area delle ex Varesine, diventata Porta Nuova, fino ai progetti di riconversione degli ex scali ferroviari. Basta un’architettura d’impatto, come il celebre “Bosco Verticale”, per cambiare radicalmente la percezione del territorio, far salire i prezzi al metro quadro e attrarre nuovi investitori.

Come spesso accade, però, a farne le spese sono soprattutto i cittadini. I prezzi degli immobili sono schizzati alle stelle, gli affitti sono sempre più inaccessibili e l’offerta di case in locazione a lungo termine si è drasticamente ridotta. Ciò che invece continua a crescere è l’interesse privato, alimentato da una trasformazione urbana sempre più attenta alle esigenze dei turisti e sempre meno a quelle dei residenti. L’espansione progressiva di questo fenomeno, che si estende lentamente dal centro verso le periferie, potrebbe esserne la conferma.


Abuso d’ufficio, Nordio si vanta: ma a che prezzo?

Pensando alla vicenda milanese, il pensiero non può non andare all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio - entrata in vigore il 1° luglio 2025 - e dunque al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Ma se qualcuno non lo avesse collegato spontaneamente alla questione, ci ha pensato lo stesso ministro a farsi notare, con una brillante intervista al Corriere della Sera. Fiero, ha dichiarato: “Con la mia riforma, a Milano oggi hanno tutti evitato il carcere. Vorrei sapere cosa ne pensa il Pd”. Insomma, un approccio che per il ministro resta motivo di vanto, perché evita che persone non ancora condannate finiscano in carcere prematuramente. Ciò che però il ministro sembra dimenticare sono le conseguenze - talvolta gravi - che l’abolizione dell’abuso d’ufficio e la limitazione degli arresti preventivi potrebbero innescare, rendendo più difficile prevenire o perseguire vicende come quella dell’inchiesta urbanistica del capoluogo lombardo.

In pratica, l’abuso d’ufficio puniva il pubblico ufficiale che, violando norme di legge o regolamenti, favoriva o danneggiava indebitamente qualcuno nell’esercizio delle sue funzioni. È stato uno strumento rilevante di prevenzione: ha permesso di indagare su comportamenti sospetti prima che si configurassero reati più gravi. Ha avuto un importante effetto “spia”, aprendo la strada a intercettazioni - le stesse che il ministro ha voluto limitare a non più di 45 giorni - che spesso permettevano di scoprire reati ancora più complessi.

Infine, ma non meno importante, finché è rimasto in vigore, l’abuso d’ufficio ha contribuito a sanzionare le distorsioni dell’azione amministrativa anche in assenza di prove dirette di scambio di denaro. Motivo per cui l’associazione con l’inchiesta milanese - dove le tangenti sembrano essere state sostituite da consulenze d’oro e partnership opache - risulta particolarmente calzante.

Con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, il rischio è che la capacità dello Stato di monitorare e contrastare pratiche scorrette nella pubblica amministrazione sia stata pesantemente depotenziata. Situazioni che un tempo potevano essere perseguite - come favoritismi o pressioni indebite - oggi rischiano di rimanere impunite, protette da una zona grigia che inevitabilmente si è venuta a creare. A meno che, naturalmente, non emergano prove evidenti di corruzione diretta.

Foto © Imagoeconomica 

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