Due testimonianze che lasciano il segno per il processo della strage di Brescia del 28 maggio 1974.
Il 3 luglio, davanti alla Corte d'Assise, sono stati sentiti Stefano Russo e Claudio Lodi, ex membri di Ordine Nuovo.
Russo ha raccontato di aver deciso di allontanarsi dai camerati perché "cominciai ad avere forti sospetti che fossimo manovrati dai servizi americani".
Nessun approfondimento, però, "solo un sentore".
Però di elementi ce ne sarebbero: secondo quanto ha detto, avrebbe conosciuto, mentre era dentro Ordine Nuovo, l'ufficiale dell'esercito italiano Amos Spiazzi di Corte Regia, l'uomo che aveva in mano la Gladio al Nord, nonché golpista; fu lui che venne inviato l'8 dicembre 1970 a Sesto San Giovanni, durante il tentato golpe Borghese, per reprimere la resistenza operaia.
Secondo Russo, Amos Spiazzi era una "figura che io vedevo come collaterale a Ordine Nuovo": "Sono stato a casa sua, assieme a Bosio, tra l'altro, a vedere la sua collezione di armi. Con Amos siamo stati un giorno nella caserma di Montorio, mi sembra, e andammo sulle colline di Montorio a sparare con varie armi, e mi ricordo che lui portò queste cassette dei famosi colpi M, che erano i colpi falliti durante le esercitazioni, che poi venivano praticamente eliminati. Poi venivano rimesse nelle armi: 9 su 10 sparavano".
Oltre alla presenza ingombrante di un golpista in divisa, c'è anche la spinosa questione di Gladio e dei depositi di armi occulti, detti Nasco.
Mario Bosio, un altro ordinovista veronese, aveva indicato a Russo un punto in cui "sarebbe stato un Nasco, una fossa" in cui erano "degli involti di armi protette da grasso per evitare che si potessero arrugginire o guastare, e che sono questi posti dove queste armi vengono nascoste in attesa di poter essere usate" in caso "dell'ipotetica invasione da parte del Patto di Varsavia".
Ma non gli chiese mai come e perché sapesse dell'esistenza del deposito. "Ricordo di aver accompagnato più volte Mario anche alla Ftase di Verona, in via Scalzi, una caserma estremamente ampia". Le presunte riunioni eversive, stando alle indagini, si sarebbero invece svolte a Palazzo Carli, comando Ftase, sempre a Verona, ma in via Roma. Oltre ai golpisti e alla Gladio, c'erano anche i Carabinieri in quel periodo che frequentavano gli ordinovisti.
Claudio Lodi, figura un tempo ai vertici di Ordine Nuovo a Verona, si era allontanato da quel mondo politico perché "non ero molto d'accordo su certe visioni, su certi comportamenti". Durante la deposizione ha detto di aver visto in passato il capitano dei Carabinieri Francesco Delfino nella "casa di Elio Massagrande (capo di ON a Verona, ndr)" prima che uscisse da Ordine Nuovo, cioè prima del 1973.
E poi anche Lodi ha parlato di americani: "Mi ricordo un americano che faceva fotografie" che forse "apparteneva o era appartenuto all'esercito americano"; secondo il teste, frequentava l'ambiente ordinovista. Davanti alla Corte ha testimoniato anche il maresciallo Gianni Caroselli, che si è occupato delle indagini sulla strage nel 2010-2011: aveva cercato lui Roberto Zorzi (imputato nel processo) e Marco Toffaloni (condannato in primo grado dal Tribunale dei Minori) e aveva indicato lui al generale Giraudo di sentire la super teste Ombretta Giacomazzi.
Nell'udienza si è parlato di Umberto Zamboni, ordinovista veronese, il quale dichiarò a verbale che proprio il 28 maggio 1974 aveva incontrato Stefano Romanelli (altro camerata, ndr), il quale gli disse che “il nostro” Zorzi aveva “fatto il botto”.
Lo stesso Zorzi che, secondo il militare, "non era stato tra i primi" ad essere affiliato a Ordine Nuovo, anche se era un attivista già nel 1973.
Figura centrale della testimonianza è stata certamente Giacomazzi, le cui dichiarazioni hanno sempre trovato riscontro investigativo, ha dichiarato il maresciallo.
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