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Nei nuovi palinsesti di Urbano Cairo anche il procuratore di Napoli: “Rete sempre molto aperta nei miei confronti”

Parleremo di mafie, della loro storia e delle loro dinamiche nazionali e internazionali. Siamo stati in Colombia, in Belgio e in Olanda. In queste prime quattro puntate ci siamo soffermati prevalentemente su ‘Ndrangheta e Camorra. Per me e Antonio Nicaso è stato un ritorno in Calabria, nei luoghi della nostra infanzia”. Lo ha detto il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ai microfoni della giornalista del Corriere della Sera, Simona Brandolini, per annunciare il suo ruolo, questa volta da protagonista, nel programma di La7, Lezioni di mafia. La trasmissione sarà composta da quattro puntate in cui si parlerà, ovviamente, di mafie, sia da un punto di vista storico sia in relazione alle loro attività e trasformazioni a livello nazionale e internazionale. Tutto è nato da un incontro con il giornalista Paolo Di Giannantonio e si è concretizzato grazie al supporto di alcune figure del mondo della produzione televisiva, ma anche grazie al fatto che - come ha precisato lo stesso Gratteri - “La7 è sempre stata molto aperta nei miei confronti, invitandomi continuamente alle loro trasmissioni di approfondimento delle notizie”. Lo scopo principale del programma è quello di scuotere le coscienze, soprattutto quelle di chi pensa ancora che il fenomeno mafioso non sia più centrale in Italia.Tra il pubblico delle registrazioni ci saranno anche studenti universitari, come quelli “dell’Università Roma Tre”. Ovviamente, una considerazione da parte del noto magistrato non poteva mancare su un ruolo come questo, che non farà altro che aumentare ulteriormente la sua esposizione mediatica. “Penso che il magistrato abbia sempre il dovere di parlare, soprattutto in un Paese che ha scelto di convivere con le mafie. Com’è noto - ha proseguito - le principali organizzazioni criminali di stampo mafioso sono nate nell’Ottocento e, a distanza di oltre 150 anni, continuano a condizionare la vita di molte persone, non soltanto nelle regioni meridionali, ma anche nel resto del Paese”.
Anche per questo motivo, il procuratore capo di Napoli, oltre a scrivere libri, ogni anno incontra migliaia di studenti, proprio per parlare e discutere con loro dell’impatto che la mafia esercita sulla società e del fatto che cambiare questo drammatico aspetto è possibile. Ma, per farlo, serve soprattutto contrastare la cultura mafiosa. “Purtroppo, la scuola istruisce, ma non educa. La mancata educazione delle pulsioni, per esempio, confina certi ragazzi a esprimersi solo con gesti violenti, invece che con le parole e i ragionamenti. A me - ha sottolineato Gratteri - piace sempre ragionare, riflettere. Ci sono magistrati che giustamente si godono le vacanze, rilassandosi a casa o al mare. Io utilizzo le mie vacanze per andare nelle scuole. È una scelta di vita”. A proposito del dibattito sulla mafia, Gratteri ha precisato inoltre che se oggi se ne parla sempre meno è perché le mafie sono sempre meno violente. Una scelta strategica, precisa, che mira a farle apparire “normali” e a farle passare inosservate. La violenza viene utilizzata solo in casi estremi, quando è “strettamente necessaria”. “C’è chi pensa che con la morte di Matteo Messina Denaro la mafia - ha aggiunto - sia stata messa con le spalle al muro. Invece, le mafie oggi sfruttano abilmente le nuove tecnologie, le criptovalute e gli strumenti dell’intelligenza artificiale per ottimizzare le loro risorse e trarre maggiori profitti. Se il programma dovesse continuare nel tempo, ci piacerebbe esplorare anche le mafie straniere radicate sul nostro territorio”.  

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