Stop ai pignoramenti dei fondi destinati ai collaboratori di giustizia. A decretarlo il Tar del Lazio che ha bocciato una delibera del Viminale che, sul caso di pentito, subordinava l’erogazione della capitalizzazione per il nuovo "progetto di vita" (soldi che ogni pentito può ricevere al termine del programma di protezione per il cosiddetto "reinserimento sociale") alla stipula di "un accordo con l’agenzia delle Entrate per la rateizzazione del debito, nonché all’intestazione personale dell’immobile per finalità di garanzia dei debiti tributari".
Lo scorso agosto l'avvocato Luigi Li Gotti, da noi intervistato, aveva denunciato apertamente lo scandalo.
Dopo aver contribuito al disvelamento di vari delitti, fatti e misfatti, i pentiti si ritrovavano scoperti sia sul lato economico che della protezione personale in quanto la nuova normativa prevedeva pure che la casa venisse necessariamente intestata al pentito e non più a sua moglie.
"Questo sistema che si è messo in moto - diceva Li Gotti - è un freno totale a nuove collaborazioni. Chi dovesse decidere di collaborare, pensando a quello che succede dopo che la sua collaborazione non serve più, e che viene messo in mezzo ad una strada, ci pensa mille volte prima di collaborare. Quindi da una parte si incide sulla possibilità di raccogliere e sollecitare le collaborazioni con la giustizia e dall'altra parte i collaboratori vengono esposti al rischio di ritorsioni".
Il Tar del Lazio si è espresso sul ricorso presentato da un collaboratore di giustizia, difeso dall’avvocata Adriana Fiormonti.
Un pronunciamento che entra nel merito di una questione che avrebbe rischiato di colpire duramente l'intero istituto, eliminando in partenza il sopraggiungere di nuovi collaborazioni con la giustizia da parte di boss e gregari.
Il ricorso dell’avvocata era stato incentrato sull’assenza di una norma che consenta al ministero dell’Interno di distrarre le somme concesse al collaboratore in favore dell’Agenzia delle entrate o di obbligarlo a intestarsi l’immobile per offrire una garanzia all’ente di riscossione.
Luigi Li Gotti © Paolo Bassani
Proprio questo motivo di ricorso è stato accolto dai giudizi amministrativi dopo l’iniziale diniego e l’obbligo di nuovo pronunciamento disposto dal consiglio di Stato.
Guardando al quadro debitorio dello specifico collaboratore il tribunale sottolinea che lo stesso, dal 2004, cresce in seguito all’accumulazione di titoli di spese processuali, multe, interessi e così via.
Prosegue ribadendo che la capitalizzazione è un beneficio che la commissione può riconoscere allo scopo di favorire «il reinserimento sociale, economico e lavorativo delle persone che sono sottoposte al programma speciale di protezione».
Avendo queste caratteristiche si può procedere alla revoca in caso di fatti o comportamenti incompatibili con “la nuova vita”, quando il progetto è difforme da quello autorizzato, in pratica è collegato unicamente all’obiettivo del reinserimento.
Quindi, conclude il tribunale, «l’amministrazione non può condizionare l’erogazione del beneficio alla previa stipula, da parte del collaboratore, di un accordo con l’Agenzia delle entrate per la restituzione rateale del debito o all’intestazione personale del bene immobile con finalità di garanzia, trattandosi di finalità non previste dalla normativa vigente».
Non solo. Dice il Tar che le motivazioni poste dal provvedimento impugnato a fondamento del mancato riconoscimento della capitalizzazione sono "illegittime in quanto non coerenti con il quadro normativo vigente".
Piera Aiello © Imagoeconomica
Questo pronunciamento, importantissimo, ora può rappresentare un riferimento anche per altri collaboratori che in questi mesi si sono trovati a dover accettare le disposizioni.
Anche perché, come aveva ricordato in passato Piera Aiello, cognata di Rita Atria, testimone di giustizia e già componente della Commissione Giustizia e della Commissione antimafia va evitato il progressivo svuotamento della legge.
“Noi avevamo un programma di protezione che era il migliore al mondo ma in questo momento è allo sbando - aveva dichiarato raggiunta dai nostri microfoni - Basterebbe adottare quello che fanno in America con i Marshall. Le loro priorità del programma di protezione in America sono tre: cambio di generalità, casa e lavoro. E’ questo che lo Stato dovrebbe fare per i collaboratori. Io non dimentico neanche per un momento che sono stati dei criminali, ma se Falcone e Borsellino, che considero come padri, ritenevano importanti i collaboratori di giustizia nella lotta alla mafia io ancora oggi ci credo. Noi non avremmo saputo nulla senza i collaboratori”.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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