Nel corso dell’ultima udienza Stefano Casali, difensore dell'imputato Roberto Zorzi, ha interrogato la teste Ombretta Giacomazzi, cercando di fare luce sull’approvvigionamento di esplosivo per l’attentato al locale Blue Knot. Casali ha chiesto: “Senta, lei sapeva qualcosa dell’esplosivo, del rinvenimento dell’esplosivo che sarebbe stato utilizzato per l’attentato del Blue Knot?”.
“Non ricordo se specificatamente ne ho sentito parlare forse da Toffaloni” - ha risposto Giacomazi - ma “non posso nemmeno dire dove ho sentito queste cose. Da Silvio no”. Casali ha contestato un verbale del 5 novembre 2015, ricordando che “la discussione tra Marco e il Silvio verte sul procacciamento di esplosivo” e che “non è più possibile prenderlo da una certa caserma di Verona e che lo deve prendere nella caserma Papa di via Volturno a Brescia o comunque in zona Ponte Grotto”.
Ha sottolineato che si “tratta di una caserma da dove usualmente diversi si procuravano esplosivo grazie ad una complicità interna” e che “Silvio, Nando e Rizziero, anzi, mi sembra anche il Buzzi” avevano accesso, aggiungendo: “So che si approvvigionavano anche di armi corte e tenete presente che ho percepito che più volte avevano in atto anche attività ricattatorie al fine di reperire denaro”. Il Presidente della Corte ha chiesto: “Senta, ma lei lo sa chi ha confezionato l’ordigno?”, ma Giacomazzi ha negato di saperlo, dichiarando: “No, io non sono informata di niente”. Quando il Presidente ha insistito, rivelando che “in un processo è emerso che l’ha confezionato Silvio assieme a Nando Ferrari”, la teste ha risposto: “Sì, lo so perché lo dice lei adesso”.
Ho nascosto per paura del Capitano Delfino
Nel corso dell’udienza Giacomazzi ha offerto una testimonianza carica di tensione, ammettendo di aver sempre "cercato di nascondere tutte le cose che mi compromettevano e che invece io le ho dette al colonnello Geraudo, perché era lì dove io dovevo essere chiara, come mai sapevo queste cose”. La teste ha spiegato di aver taciuto per anni per timore di ritorsioni, dichiarando: “Ho preferito mascherare, nascondere. Ho fatto quello in più avevo l’ossessione che il Delfino mi venisse anche a cercare, allora ero sposata con i figli”. L’avvocato Stefano Casali ha richiamato un verbale del 15 maggio 2018, precisando: “Certamente fu il Capitano Delfino a chiedermi di coinvolgere Arcai con insistenza come aveva già fatto anche a Venezia”. Ha poi descritto un incontro a Rovereto, dove Delfino era accompagnato da “una persona che non era uno dei suoi uomini ed era più grande di lui di età, di poco, ma più grande”, un ufficiale dei carabinieri (anche se in alcune foto si vede che portava un baco militare dei paracadutisti) che “si comportò in modo gentile” e “era quindi interessato ad ottenere informazioni”. Giacomazzi, pur confermando l’episodio, non ha saputo precisare quali informazioni furono richieste, evidenziando la difficoltà di ricostruire eventi lontani e il peso della paura che l’ha spinta a “nascondere tutto”.
La prossima udienza è stata fissata per il 12 giugno alle ore 9.30.
Foto © ACFB
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