L’Anm: “Indagini a rischio”, mentre da più parti si solleva l’allarme: “L’obiettivo è il controllo politico della magistratura”
“Quando avranno impedito ai magistrati di fare le indagini, il passo successivo sarà toglier loro la potestà di condurle e affidare tutto il potere alla polizia, cioè all'esecutivo”. A dirlo è Federico Cafiero de Raho, già magistrato antimafia e attuale deputato del Movimento 5 Stelle, che mette in guardia contro gli effetti della riforma della giustizia promossa dal ministro Carlo Nordio. Con le modifiche legislative in discussione - in particolare quelle riguardanti le intercettazioni e la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti - il rischio, secondo De Raho, è quello di mettere in atto un vero e proprio attacco frontale al lavoro dei pubblici ministeri, che non sarebbero più in grado di portare avanti indagini efficaci. “Sarà un ostacolo assoluto alle indagini - ha sottolineato de Raho -. Una strategia investigativa si fonda sulla ricerca della prova”, ed è impossibile arrivarci nei 45 giorni di limite previsti per le intercettazioni. “Ma nemmeno nel mondo dei sogni! Diciamolo chiaramente: il legislatore ha fatto una legge che non consentirà più di indagare. Vale per l'omicidio, per l'estorsione, per la rapina, per il sequestro di persona, per lo spaccio di stupefacenti, per tutti i reati da codice rosso. Tutti reati gravi, per i quali oggi è consentita un’indagine della durata massima di 24 mesi”. E aggiunge: “Siamo all’assurdo: esiste un termine di 24 mesi per le indagini, ma solo 45 giorni per le intercettazioni”.
Come anticipato, però, il problema non si limita a questo. De Raho ha evidenziato infatti un secondo fronte critico: la separazione delle carriere tra magistratura inquirente (i pubblici ministeri) e giudicante (i giudici). Un cambiamento significativo e molto pericoloso, che rischia di trasformare il pubblico ministero in una figura subordinata al potere esecutivo. “Prima si indebolisce la figura del pubblico ministero. Una volta separato e indebolito anche dal punto di vista professionale, portarlo sotto il controllo del ministro della Giustizia sarà un gioco da ragazzi - ha avvertito -. Sarà la conseguenza logica di ciò che stanno costruendo oggi. Il fine ultimo è togliere al pubblico ministero gli strumenti per contrastare la criminalità, assegnando compiti diversi alla polizia”. In sostanza, ciò che Cafiero de Raho denuncia è uno slittamento dell’equilibrio tra poteri che mina l’indipendenza della magistratura. In pratica, il rischio è quello di arrivare a una giustizia in cui non sia più un magistrato - terzo, autonomo e indipendente - a condurre le indagini, ma un funzionario di polizia che, essendo gerarchicamente subordinato all’esecutivo, potrebbe subire pressioni o condizionamenti politici. Il pubblico ministero, nel peggiore dei casi, diventerebbe un semplice passacarte, privato degli strumenti per agire e quindi incapace di tutelare efficacemente i diritti dei cittadini, soprattutto delle vittime dei reati più gravi.
Di male in peggio
Le polemiche, sia in ambito politico che giudiziario, riguardo alla riforma della giustizia, si sono intensificate progressivamente, soprattutto dopo l'approvazione notturna alla Camera. Come ha spiegato De Raho, la legge stabilisce che la durata massima delle intercettazioni, fissata in 45 giorni, si applica anche a diversi tipi di reato considerati di grave allarme sociale, salvo la presenza di ulteriori elementi specifici e concreti che possano giustificare una proroga. Nello specifico, si prevedono due proroghe da venti giorni ciascuna, da attivare tramite un meccanismo che appare piuttosto farraginoso e restrittivo. Per molti addetti ai lavori, si tratterebbe di una soluzione inadeguata e del tutto inefficace ai fini investigativi. Date le circostanze e i suoi effetti nel medio e lungo periodo, non dovrebbero stupire le parole di chi ha espresso parere favorevole, come il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, che ha salutato l’approvazione della legge con queste parole: “Dedico questa rivoluzione copernicana al presidente Silvio Berlusconi e all’avvocato Niccolò Ghedini”. Una frase che ha il sapore di una dichiarazione d’intenti, quasi una rivendicazione politica, e che richiama alla memoria le storiche battaglie del centrodestra contro quello che per anni è stato definito “l’abuso” della magistratura. Le opposizioni, dal canto loro, parlano di una nuova evoluzione delle vecchie “leggi ad personam”, che com’è noto hanno segnato il passato giudiziario di Berlusconi.
L’attacco dell’ANM contro il ddl intercettazioni
Ad ogni modo, il disegno di legge approvato nottetempo ha suscitato forti reazioni da parte dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), che ha accusato il governo di rendere le indagini “più difficili”, allontanando sensibilmente “l’accertamento della verità”. Come se non bastasse, al Senato si avvicina anche il via libera al cosiddetto “decreto sicurezza”, un provvedimento fortemente contestato, soprattutto dal Movimento 5 Stelle, che ha rivolto dure critiche in particolare all’articolo 31.
Secondo i pentastellati, infatti, la riforma dei servizi segreti prevista dall’articolo in quesitone potrebbe aprire la strada a vere e proprie schedature di massa dei cittadini, con tanto di controllo politico. Tornando alle inercettazioni, oltre all’ANM, sono intervenuti anche procuratori di primo piano, come Nicola Gratteri. “Con il limite dei 45 giorni - ha osservato il procuratore di Napoli - si chiude il cerchio iniziato con l’abolizione dell’abuso d’ufficio. I cittadini non avranno più tutela contro abusi e sopraffazioni”.
L’allarme carceri
Nel frattempo, si consolida anche un altro fronte di polemica, quello relativo alla drammatica situazione delle carceri italiane. Alla Camera si è tenuto un dibattito straordinario per denunciare le condizioni del sistema penitenziario, drammaticamente segnato da tragedie quotidiane. L’associazione Antigone ha riferito di ben 20 suicidi tra i detenuti dall’inizio dell’anno e di una popolazione carceraria che supera di 16mila unità la capienza regolamentare. Di fronte a una questione tanto delicata, il promotore della riforma della giustizia, Carlo Nordio, era assente durante la seduta straordinaria perché - come riportato dall’ANSA - impegnato in un incontro con i garanti dei detenuti. Un gesto che molti hanno percepito come un vero e proprio affronto istituzionale. Il centrosinistra ha parlato di “uno schiaffo al Parlamento”, mentre Devis Dori (AVS) ha denunciato un “disinteresse terribile e gravissimo”. Fabrizio Benzoni (Azione), invece, si è chiesto provocatoriamente cosa sia necessario per portare il ministro in Aula, se nemmeno una seduta straordinaria è sufficiente.
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