Riccardo Ravera resta il punto centrale dell’inchiesta, insieme a lui vanno a processo altri cinque indagati
Dieci proscioglimenti e sei rinvii a giudizio. Si è conclusa così l'udienza preliminare della maxi inchiesta su una presunta rete di spioni illegali dove, in uno dei diversi filoni, compariva anche la Kerakoll, multinazionale dei prodotti per l'edilizia del modenese. Una sentenza che scagiona la maggior parte degli indagati, soprattuto per via della dichiarata inutilizzabilità, sancita dalla gup Manuela Accurso Tagano, di una mole di chat e messaggi email acquisiti durante le indagini. Il processo si aprirà a Torino il 29 gennaio 2026. Tra le persone che saranno chiamate in causa figurano Riccardo Ravera, 63 anni, carabiniere in congedo che nel 1993, con il nome in codice di 'Arciere', fece parte della squadra del Ros che catturò il Capo dei Capi di Cosa nostra Totò Riina il 15 gennaio Palermo. Era accusato di associazione a delinquere (semplice), false fatturazioni, corruzione, interferenza illecita nella vita privata e falso. Per la prima ipotesi di reato dovrà andare a processo. Non con i 9 imputati iniziali, ma solo con due (Matteo Resio e Massimiliano Sorba. È stato prosciolto dalla presunta corruzione e da presunte false fatturazioni. Di corruzione rispondeva con lui Davide Barbato (difeso dal legale Roberto Saraniti), già caposcorta dell'ex pm Andrea Padalino) prosciolto “perchè il fatto non sussiste”. I pm ritengono che Ravera, nel tentativo di entrare nell'appalto di sicurezza del Lingotto (senza che questo sia mai avvenuto) avrebbe chiesto aiuto a Barbato corrispondendogli in cambio dei biglietti per dei concerti. L'ex carabiniere dovrà rispondere anche di interferenza illecita nella vita privata. A Ravera è stato contestato di aver sostanzialmente “guidato e promosso un'associazione che avrebbe commesso delitti al fine di acquisire indebitamente notizie sulla vita privata delle persone”. Secondo i pm Gianfranco Colace e Giovanni Caspani titolari dell'indagine lo avrebbe fatto insieme - anche - a Giovanni Carella, 35 anni ma anche per quest'ultimo (difeso dai legali Mauro Anetrini e Mariangela Melliti) è intervenuta sentenza di proscioglimento. Carella non è un nome qualunque. Indagato, mapur defilato in questo procedimento, è centrale nelle contestazioni che la procura di Milano ha avviato da tempo sul presunto autore di dossier falsi e calunniosi nei confronti della procura di Torino in particolare sul conto del pm Colace. Carella sarebbe il "corvo" che più volte ha inviato a diversi indirizzari di posta elettronica (magistrati, forze di polizia, Csm, cassazione) documenti e ricostruzioni non veritiere per infangare alcuni magistrati nonché membri della polizia giudiziaria della procura di Torino. Tra questi il colonnello Luigi Isacchini, responsabile dell'aliquota dei carabinieri di Palagiustizia. Lo stesso sul quale - secondo i magistrati - Ravera avrebbe chiesto a terzi accessi abusivi ai suoi sistemi informatici. Restano nel processo, ma non più con l'accusa di associazione a delinquere (per loro caduta) alcuni ingegneri informatici coinvolti anche nella maxi-inchiesta su Equalize.
Fonte: La Stampa
Foto © Roberto Pisana