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Il Presidente del Senato aveva querelato per diffamazione a mezzo stampa Sigfrido Ranucci e Giorgio Mottola

La gip di Milano Silvia Perrucci ha accolto la richiesta della Procura e ha disposto l’archiviazione del procedimento per diffamazione a mezzo stampa contro il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, ed il giornalista Giorgio Mottola. La vicenda risale a una querela presentata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, che lamentava l'esposizione di fatti non veritieri nei servizi giornalistici trasmessi da Report l'8 ottobre 2023 e il 12 novembre 2023 intitolati rispettivamente "La Russa dynasty" e "La ragnatela dei La Russa".
Scrive il giudice che "a prescindere da eventuali aspetti di cattivo gusto oltre che non funzionali alla narrazione, relativi alle modalità con le quali il racconto è stato accompagnato in qualche punto della trasmissione" vanno riconosciuti "i presupposti generalmente riconosciuti ai fini dell'operatività dell'esercizio del diritto di cronaca e critica giornalistica", ha spiegato la gip Silvia Perrucci disponendo l'archiviazione del caso, accogliendo la richiesta del pm Mauro Clerici.
Il giornalista, infatti, si legge ancora nel provvedimento, non deve e non può "esercitare il ruolo di censore" poiché vige il "diritto-dovere di informare la pubblica opinione" di quelle dichiarazioni. In più, secondo la gip, i giornalisti, "a fronte del contenuto" di quelle interviste, hanno "sempre effettuato le dovute precisazioni, sia chiarendo i dati storici che non consentivano di attribuire oggettiva veridicità a quanto dichiarato" dai due, "sia dando ampio spazio alle tesi contrarie", fornendo tutti i mezzi "per valutare autonomamente l'attendibilità".
Non serviranno quindi "le indagini suppletive" che avevano chiesto i legali di La Russa, opponendosi alla richiesta di archiviazione.


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La giudice, nell'archiviazione, ha sottolineato che rispetto "al contenuto delle interviste rilasciate da Michele Riccio e Tommaso Staiti di Cuddia trasmesse nel corso delle puntate di Report vi fosse l'interesse pubblico a rendere noto il pensiero degli intervistati in relazione alla loro notorietà".
Ed ugualmente "deve ricordarsi come la figura di Michele Riccio certamente riveste la qualità di interlocutore autorevole - nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità  - per avere lo stesso ricevuto ed utilizzato ai fini di indagine tra il 1993 ed il 1996 le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Ilardo, ritenuto anche da alcuni investigatori tra i quali il pm Antimafia Nino Di Matteo  e il Pm Pasquale Pacifico, come risulta da fonti aperte, soggetto affidabile che rese importanti rivelazioni contro le cosche. La sola circostanza che il Colonnello Michele Riccio sia stato processato e condannato dalla magistratura genovese per reati inerenti al traffico di sostanze stupefacenti quando comandava la 1°sezione del N.O. dei carabinieri - Gruppo di Genova, non rileva in tema di attendibilità rispetto alle dichiarazioni dello stesso rese agli intervistatori, sia perché i fatti di reato per i quali il Riccio è stato ritenuto responsabile risultano del tutto eccentrici rispetto al tema trattato nell'intervista, sia perché la sola qualità di soggetto pregiudicato di per se sola non ne inficia tout court la credibilità in assenza di evidenze di un intento calunnioso". 
Al di là di questo aspetto la giudice ha comunque deciso la restituzione degli atti alla Procura per approfondire la questione, disponendo l’iscrizione nel registro degli indagati per l’ex colonnello dei carabinieri, Michele Riccio. Un atto dovuto, di fatto, perché, scrive la gip di Milano, la querela si sarebbe dovuta estendere anche agli intervistati e, dunque, la procura avrebbe dovuto iscrivere per diffamazione anche Riccio e l'altro intervistato, che poi è deceduto.

Foto © Imagoeconomica 

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