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Si tratta di un sudanese e di una ivoriana: “Nordio avrebbe dovuto chiedere la custodia cautelare del criminale”

Sono finite al Tribunale dei ministri le denunce di due vittime delle torture del generale libico Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria di Tripoli, accusato di crimini contro l'umanità dalla Corte penale internazionale. Si tratta di un uomo sudanese e di una donna ivoriana. La procura di Roma, nel procedimento avviato dopo l'esposto dell'avvocato Luigi Ligotti - in cui si contestano, a seconda delle posizioni, i reati di favoreggiamento, peculato e omissioni di atti d'ufficio a carico della premier Giorgia Meloni, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano - allega anche l'atto sottoscritto dal cittadino sudanese Lam Magok Biel Ruei e in cui accusa i massimi vertici dell'Esecutivo di "avere sottratto alla giustizia" Almasri, non convalidando l'arresto dopo la richiesta sollecitata dalla Corte penale internazionale. Nella seconda tranche di documenti trasmessi al Tribunale che si occupa dei reati ministeriali, si fa però esclusivo riferimento al reato di favoreggiamento e nella denuncia non compare il nome di Mantovano. C'è poi un'altra denuncia, quella di una donna ivoriana, fa sapere il suo legale, Angela Maria Bitonti, "vittima di stupri e percosse nella prigione di Mitiga. La comunicazione ufficiale è giunta dalla procura di Roma alla donna che si è resa disponibile a fornire ogni chiarimento e documentazione utile alla vicenda". Gli atti si vanno, quindi, ad incardinare su quanto già avviato dal Tribunale dei ministri, che nei giorni scorsi ha proceduto ad una richiesta di esibizione di atti presso il ministero della Giustizia e al Viminale. I giudici hanno chiesto, di fatto, tutti i documenti relativi alla vicenda del generale libico: dal fermo avvenuto il 19 gennaio a Torino all'espulsione dal territorio italiano del 21 gennaio a bordo di un Falcon di Stato. Nel fascicolo aperto a piazzale Clodio e poi trasmesso per competenza è finito, in primo luogo, il mandato di arresto, di oltre 40 pagine, spiccato dalla Corte penale europea e che ha portato il 19 gennaio la Digos di Torino a fermare Al Almasri. Agli atti dell'indagine anche l'ordinanza della Corte d'Appello di Roma con cui il 21 gennaio è stata disposta la scarcerazione motivata per vizi procedurali e in particolare per le "mancate interlocuzioni" intercorse con via Arenula, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale. Nella denuncia il cittadino sudanese, che compare come teste anche nel procedimento avviato dai giudici dell'Aja a carico di Almasri, racconta della sua vicenda e accusa il Governo italiano di avere "vanificato la possibilità di ottenere giustizia sia per tutte le persone, come me, sopravvissute alle sue violenze, sia per coloro che ha ucciso sia per coloro che continueranno a subire torture e abusi per sua mano o sotto il suo comando". Nell'atto il legale dell'uomo, l'avvocato Francesco Romeo parla di "inerzia di Nordio" che, a suo dire, "avrebbe potuto e dovuto chiedere la custodia cautelare del criminale ricercato dalla Corte penale internazionale". Una mancata iniziativa, è il ragionamento del legale, che assieme al "decreto di espulsione firmato dal ministro dell'Interno, con l'immediata predisposizione del volo di Stato per ricondurre il ricercato in Libia, hanno consentito ad Almasri di sottrarsi all'arresto e di ritornare impunemente nel suo Paese di origine, impedendo così la celebrazione del processo a suo carico".

Fonte: Ansa

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