Oggi in aula nel processo per depistaggio contro i generali dei Carabinieri Pellegrini e Tersigni
L'infiltrazione in Cosa nostra per conto della Dia e cercare di catturare Bernardo Provenzano; le informazioni raccolte sulla strage di Capaci ed il ruolo di soggetti esterni a Cosa nostra; il progetto di attentato contro il giudice Leonardo Guarnatta. Sono questi i principali argomenti affrontati durante la deposizione del collaboratore di giustizia Pietro Riggio, sentito oggi davanti al Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Francesco D'Arrigo. Il processo è quello a carico dei due generali dei Carabinieri applicati alla Dia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio, e l'ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni dello stesso Riggio, all'epoca loro confidente, intralciando, così, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni in particolare sulla strage di Capaci.
Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, venne arrestato il 10 novembre del 1998 con l'indagine "Grande oriente" scaturita dalle dichiarazioni dell'infiltrato in Cosa nostra Luigi Ilardo. L'imputazione all'epoca era di concorso esterno in associazione mafiosa, reato derubricato in Appello in favoreggiamento aggravato.
Rispondendo alle domande del pm Pasquale Pacifico, il collaboratore di giustizia, ha riferito ciò che ha vissuto durante il periodo di detenzione nel 2004. Al tempo si trovava in carcere dopo essere stato arrestato per l'operazione "Itaca bobcat" per associazione mafiosa ed estorsioni tra il 2000 e il 2003.
L'infiltrato in Cosa nostra, Luigi Ilardo
"Sono stati dodici i colloqui investigativi a cui sono stato sottoposto. In un'occasione si è presentato un tenente dei carabinieri che era in servizio al Ros di Caltanissetta". In precedenza, nel 1998, era stato arrestato durante l'indagine “Grande Oriente” ed era detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. E' lì che conobbe alcuni poliziotti, detenuti anche loro. "Tra questi - ha ricordato - vi erano anche Giovanni Peluso. Porto fu incuriosito dalle lettere trovate di Bernardo Provenzano con il blitz Grande Oriente - ha detto in aula - Mi invogliò ad aprirmi su questa situazione e mi invogliò a creare una squadra all'interno dei servizi per la cattura di Provenzano. Porto mi invitò e mi disse che dovevo stare tranquillo e sereno perché da dentro riusciva ad avviare questo discorso con una persona che faceva servizio sia nei servizi segreti italiani che americani, un certo Antonio Mazzei. Questo mi avrebbe permesso di iniziare un discorso. Io fin da subito sono stato chiaro, mi sono offerto dicendo che potevo trovare un aggancio in Carmelo Barberi e altri soggetti mafiosi che erano in auge in provincia di Caltanissetta come Ciro Vara, Domenico Vaccaro e Giancarlo Giugno”.
Nella lunga deposizione il collaborante ha spiegato alla Corte di avere una parentela con Carmelo Barberi di Gela che era ritenuto in Grande Oriente il postino di Provenzano, che diventò poi anche lui collaboratore di giustizia.
Il rapporto con Pesluso e Porto sarebbe continuato anche negli annui successivi. "Durante la mia detenzione e dopo la scarcerazione - ha proseguito - iniziò una corrispondenza con delle lettere tra me e i due poliziotti con cui avevo stretto legami. Ci scrivevamo in codice. Il primo ad essere scarcerato fu Giovanni Peluso, poi Giuseppe Porto, e infine io".
"Per scriverci utilizzavamo dei nomignoli. Peluso era associato al giaguaro o il turco, Porto era il lord e io ero Elliot, De Nicola lo identificavamo con il nome di Tano - ha precisato Riggio - utilizzavamo questi nomi per evitare che se le lettere fossero state intercettate si potesse risalire a noi. Il codice è stato elaborato da me e da Porto e scritto con la mia scrittura".
L'autostrada di Capaci devastata dopo l'esplosione © Shobha
La strage di Capaci
Così come fatto durante i processi Capaci bis e quello sulla Trattativa Stato-mafia Riggio ha confermato le confidenze raccolte sulla strage di Capaci: “Giovanni Peluso mi disse come fosse stato messo l'esplosivo per la strage d Capaci, con l'utilizzo dello skateboard, sotto l'autostrada. Su Giovanni Brusca mi disse che era convinto che fosse stato lui a premere il bottone. Poi aggiunse: 'Pensi che questi quattro pecorai sono capaci di fare una cosa del genere. All'interno delle dinamiche gli hanno fatto capire che avevano avuto dei ruoli'. Io intuivo che ci fosse una sorte di accreditamento personale di quello che era accaduto. Fu quella l'occasione in cui mi disse che intervenne una donna dei servizi libici”.
"Porto - ha aggiunto Riggio - mi disse che Peluso preparava gli ordigni per conto del Sismi. Fu Porto ad aprire questo scorcio su Peluso e mi disse che era convinto che Peluso fosse coinvolto nella strage di Capaci".
Questi dettagli il collaboratore di giustizia li avrebbe poi riferiti solo a distanza di anni e non durante la propria collaborazione con la Dia. “Della vicenda di Capaci non parlai agli ufficiali della Dia Pellegrini e Tersigni perché era passato del tempo dalla strage e c'erano stati dei processi in cui non si era arrivato a nulla di che. Erano stati condannati mafiosi che non erano in grado di fare quello di cui erano accusati. Ci sono dei fatti che mi hanno fatto ritenere che le istituzioni sono coinvolte in cose non chiare".
Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica
Invece avrebbe loro riferito del progetto di attentato contro il giudice Guarnotta, che al tempo presiedeva a Palermo il processo a carico di Marcello Dell'Utri: “Riguardo al giudice Leonardo Guarnotta, Giovanni Peluso, mi disse che dovevamo fare questo pseudo attentato per fare un favore politico. E mi disse 'conta che dopo l'attentato ce ne andiamo in un posticino tranquillo, all'estero e nessuno ci cerca. In quell'occasione Peluso doveva essere raccolto a Tremonzelli e poi doveva essere appoggiato un paio di giorni fin quando le acque si sarebbero calmate". "Immediatamente ricordo che incontrai il maggiore Tersigni - ha aggiunto il collaborante di Caltanissetta, Pietro Riggio - che mi diedero le indicazioni su come comportarmi. Mi dissero che dovevo dare appuntamento a Peluso alle spalle dell'ufficio centrale postale di Caltanissetta e lì di farlo parlare parlare tranquillamente del più e del meno e che loro si sarebbero appostati sia per controllare che per registrare. Poi effettivamente mi recai in quello spiazzo per incontrare Peluso e appoggiati alle macchine parlammo del più e del meno. Però Peluso non ne parlò più di questa cosa. Fece anche uno schizzo sull'abitazione del giudice Guarnotta. Lo fece su un tovagliolo”.
Tornando a parlare dell'impegno per catturare Provenzano l'ex agente penitenziario ha anche ricordato di un incontro avuto con Peluso ed un altro soggetto che non conosceva, presentatosdi come “Mario”.
“Giovanni Peluso mi disse che ero un cretino perché lo zio (il boss Bernardo Provenzano, ndr) non doveva essere preso. L'interlocutore che io non avevo mai visto prima mi dice che se non ci fosse stato lui, cioè Peluso, mi avrebbero ucciso. 'Giovanni è l'unica persona che ti vuole bene', disse. Rimango sbigottito su alcune cose, anche se certe idee me le erano fatte. C'era uno sfruttamento della mia posizione. Sapevo che ero indagato ed era questione di tempo e sarei stato arrestato". Riggio ha sottolineato che in quella occasione l'uomo che si presentò "con il nome di Mario" era "Giovanni Aiello", l'ex poliziotto conosciuto come 'faccia di mostro', morto alcuni anni fa.
La deposzione del pentito non si è conclusa ed è stata rinviata al prossimo 18 marzo, alle ore 10, presso l'aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. Nella stessa giornata, dopo l'esame del pm si terrà anche il controesame della difesa dei tre imputati.
Foto di copertina © Imagoeconomica
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