Con l’avvio del processo penale telematico, il governo guidato da Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio collezionano un altro clamoroso insuccesso, infliggendo un nuovo colpo alla già fragile macchina della giustizia italiana.
In base a un decreto del Guardasigilli pubblicato il 30 dicembre, infatti, dal 1° gennaio il deposito informatico – previsto dalla riforma Cartabia del 2021 – è diventato obbligatorio per una lunga serie di atti: oltre all’archiviazione delle indagini (digitalizzata già dall’anno scorso, con risultati disastrosi), si dovranno caricare su App anche tutti i documenti dell’udienza preliminare, del dibattimento di primo grado e di alcuni importanti riti speciali, cioè il patteggiamento, il decreto penale di condanna e la messa alla prova.
Era un disastro annunciato: il Consiglio Superiore della Magistratura e numerosi esponenti dell’avvocatura avevano ripetutamente messo in guardia contro il rischio di una paralisi del sistema, evidenziando le gravi lacune tecniche emerse già durante la fase sperimentale dell’applicativo. Tuttavia, i ripetuti appelli sono stati ignorati e ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Il risultato è una situazione critica che sta rallentando ulteriormente il servizio giustizia, già afflitto da lentezze croniche e carenze strutturali. Il ministro Nordio ha scelto di andare avanti nonostante gli evidenti segnali d’allarme, imponendo un sistema che non era pronto per il passaggio su larga scala. Oggi, il caos nei tribunali e le difficoltà operative degli operatori del diritto confermano che quei moniti non erano sterili critiche, ma fondate previsioni.
La legge di Bilancio
Questa crisi non nasce nel vuoto, ma si inserisce in un contesto più ampio: un governo apparentemente più interessato a delegittimare il potere giudiziario che a risolverne i problemi. La narrazione costante di un sistema giudiziario “nemico” e il tentativo di depotenziare il contrasto al crimine dei colletti bianchi appaiono priorità ben più pressanti per l’esecutivo rispetto al garantire un servizio efficiente ai cittadini.
L’ultima Legge di Bilancio è un esempio lampante di questa linea: invece di stanziare risorse per assumere personale e modernizzare le infrastrutture, sono stati operati ulteriori tagli al comparto giustizia, nonostante l’evidente necessità di investimenti strutturali. Ogni emendamento volto a migliorare la situazione è stato respinto, lasciando operatori e cittadini a fronteggiare un sistema sempre più inefficace.
L'Anm, l'Associazione nazionale magistrati, ha denunciato le “numerosissime segnalazioni di errori di sistema” arrivate in appena un paio di giorni, parlando di un “fallimento annunciato” nonostante i “segnali di allarme lanciati da tempo”.
Il cambio di rotta dei tribunali
I presidenti dei Tribunali hanno così rinviato l’applicazione del decreto fino al prossimo 31 marzo in base all’articolo 175-bis del codice di procedura penale, che consente ai dirigenti degli uffici di disporre il ritorno all’analogico in caso di “malfunzionamento” dei sistemi informatici.
Prima i presidenti dei Tribunali di Bari, Foggia, Siracusa e Catania; poi quelli di Roma, Milano e Napoli.
Come riportato dal 'Fatto' i giudici della Capitale, scrive il presidente reggente Lorenzo Pontecorvo, “hanno variamente riferito di frequenti segnalazioni di errori inaspettati, con veri e propri blocchi e rallentamenti difficilmente compatibili con lo svolgimento ordinario dell’attività giudiziaria. Tali segnalazioni”, aggiunge, “destano particolare allarme tenuto conto” che in piazzale Clodio si celebrano circa quaranta udienze al giorno, ognuna con una trentina di processi. “Numerosi magistrati”, segnala inoltre Pontecorvo, non sono abilitati alla firma digitale, mentre altri, “pur profilati, non vengono riconosciuti dal sistema che si blocca con la dicitura in riquadro rosso di errore: sono stati aperti numerosi ticket non ancora risolti”. Ancora, “moltissimi giudici, pur accedendo ad App, tuttavia non “vedono” i fascicoli, perché non sono stati migrati e dunque non è possibile “lavorare” digitalmente su di essi; oppure i fascicoli, pur risultando migrati, non sono ancora visibili nel dettaglio. È poi frequente”, prosegue, “il “blocco” momentaneo dell’applicativo, con una successiva ripresa dell’operatività dopo diversi minuti (a volte anche 15 minuti) il che rappresenta un ulteriore rallentamento dell’udienza. Tutte le criticità elencate ed altre ancora sono state oggetto di segnalazione con apposito ticket, e alla data attuale nessuno di essi è stato risolto”, conclude. A Milano, il presidente Fabio Roia segnala incompatibilità con il processo penale, come l’inidoneità dei modelli di atti e l’impossibilità per i giudici di sottoscrivere i verbali d’udienza. A Napoli, la presidente Elisabetta Garzo parla di "evidenti criticità" che impediscono l’uso efficace dell’applicazione. Da Bari, Alfonso Pappalardo evidenzia problemi informatici imprevedibili dovuti alla mancanza di un'adeguata sperimentazione. A Catania e Siracusa, i presidenti Francesco Mannino e Dorotea Quartararo segnalano che il sistema non consente di caricare le motivazioni delle sentenze, mostrando errori tecnici come il "500 Internal Server Error". Giovanni Zaccaro, giudice della Corte d’Appello di Roma, sottolinea la necessità di una programmazione seria e di un sistema telematico efficiente, con assistenza e formazione continue.
Fonte: Ilfattoquotidiano.it
Foto © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Separazione delle carriere: la maggioranza si prepara al primo ok alla Camera
Bavaglio per i magistrati: bocche chiuse anche su i non indagati. Nordio minaccia sanzioni
Stretta ai cronisti: Governo vara il divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari
Norma anti-opinioni per i magistrati: se parlano di stragi non potranno più occuparsene