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Chi viene condannato con il rito abbreviato e rinuncia a fare appello può ottenere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Questo è possibile quando, grazie alla riduzione della pena prevista dalla "riforma Cartabia", la condanna scende sotto i due anni di reclusione. La Corte costituzionale ha deciso che il giudice dell’esecuzione deve avere il potere di valutare e concedere questi benefici, anche se la legge non lo prevede in modo esplicito. La decisione è stata presa per rispettare i principi di uguaglianza e per favorire il reinserimento sociale del condannato. Questo principio è stato chiarito nella sentenza numero 208 del 2024, dopo un caso in cui un condannato aveva ottenuto una riduzione della pena da due anni e quattro mesi a un anno, undici mesi e dieci giorni, chiedendo poi la sospensione della pena. La Corte ha ribadito che le pene brevi, inferiori a due anni, possono essere sospese per evitare effetti negativi della detenzione e promuovere il percorso di risocializzazione.


Il caso nel dettaglio

Una persona condannata, con rito abbreviato, a due anni e quattro mesi di reclusione aveva rinunciato all’impugnazione, ottenendo così l’ulteriore sconto di un sesto della pena ora previsto dal nuovo comma 2-bis dell’articolo 442 del codice di procedura penale. Il giudice dell’esecuzione aveva quindi ridotto la pena a un anno, undici mesi e dieci giorni di reclusione. Il condannato aveva però anche chiesto al giudice i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, che in via generale possono essere concessi quando la pena concretamente inflitta resti al di sotto del tetto di due anni di reclusione. Il giudice aveva però osservato che la riforma non attribuisce espressamente questo potere al giudice dell’esecuzione. Ritenendo che tale mancata previsione non fosse compatibile con il principio di eguaglianza e la finalità rieducativa della pena, il giudice aveva investito della questione la Corte costituzionale.
La Corte ha chiarito, anzitutto, che i principi costituzionali evocati dal giudice impongono effettivamente di riconoscere al giudice dell’esecuzione il potere di valutare se sussistano i presupposti per la concessione dei due benefici, ogniqualvolta la pena da eseguire sia ridotta entro il limite dei due anni per effetto della riduzione prevista dalla riforma.
Secondo la Corte, il giudice avrebbe potuto concedere i benefici al condannato anche sulla base della legge oggi vigente, interpretata in conformità ai principi costituzionali. Poiché, tuttavia, due recentissime pronunce della Corte di cassazione hanno interpretato in senso opposto la disciplina normativa, la Corte costituzionale ha ritenuto opportuno intervenire per assicurare la certezza del diritto in materia processuale, dichiarando costituzionalmente illegittima la mancata espressa previsione della possibilità per il giudice dell’esecuzione di concedere i due benefici, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena originariamente determinata era superiore ai relativi limiti di legge.

Fonte: Cortecostituzionale.it

Foto © Imagoeconomica

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