La Cassazione conferma la sospensione della pm accusata di ritardi su casi di violenza sessuale

È definitiva la sospensione per sei mesi dallo stipendio e dalle funzioni della pm di Palermo Alessia Sinatra, decisa un anno fa dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura. La Cassazione ha respinto il ricorso della magistrata, accusata di gravi ritardi nella definizione di inchieste su casi di violenza sessuale, inclusi episodi con minori come vittime, che in alcuni casi hanno portato alla prescrizione dei reati.
La Procura Generale della Cassazione, rappresentando l'accusa, aveva richiesto una sanzione meno severa, limitata alla perdita di tre mesi di anzianità. Tuttavia, la Corte ha confermato la decisione del Csm, giudicando adeguata la sospensione e il trasferimento della Sinatra al tribunale civile di Caltanissetta.
Questa vicenda si inserisce in un contesto più ampio che riguarda la pm, già protagonista di un altro caso disciplinare. Recentemente, infatti, la Cassazione a Sezioni Unite aveva annullato un provvedimento di censura disposto dal Csmper una serie di messaggi inviati dalla Sinatra all'ex presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara. Nei messaggi, la magistrata aveva chiesto a Palamara di ostacolare la nomina di Giuseppe Creazzo alla Procura di Roma, definendolo "il porco" in riferimento a un episodio di molestie sessuali subito. La richiesta mirava a influenzare i consiglieri per una "rivincita morale" contro Creazzo.
Nonostante la Cassazione abbia riconosciuto l'illiceità della condotta della pm, sottolineando che avrebbe dovuto denunciare le molestie invece di cercare vendetta, ha giudicato che il Consiglio superiore della magistratura non avesse adeguatamente verificato l’effettivo impatto di tali azioni sull’immagine della magistratura. Per questo motivo, il caso era stato rinviato alla sezione disciplinare per una nuova valutazione.
L’esito definitivo di queste vicende segna un punto critico nel dibattito sull'etica e il comportamento dei magistrati, sollevando interrogativi sull'equilibrio tra giustizia personale e professionale e sul rispetto delle norme deontologiche.

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