Il procuratore di Napoli denuncia il passaggio dalla violenza alla corruzione: “Corrompono perché è più facile”
“La mafia non la sta vedendo chi, ad esempio, deve intervenire, chi può legiferare, chi può prendere posizione, chi deve impegnarsi nel sociale, chi deve fare le riforme. Le mafie oggi corrompono, non hanno bisogno di uccidere. È più facile corrompere rispetto a 50 anni fa perché il forte abbassamento morale ed etico della cultura occidentale, in particolare in Italia, porta più facilmente ad essere corruttibili, perché non si è disposti a rinunciare al tenore di vita”. Lo ha spiegato ai microfoni di “Rai Radio2” il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, condividendo con il pubblico del programma 5 in Condotta una riflessione profonda sul fenomeno delle mafie oggi. Un fenomeno in cui il problema principale delle varie realtà mafiose non sembra più essere quello di accumulare ricchezza, bensì di “giustificarla”; motivo per il quale le mafie “stanno comprando tutto ciò che è in vendita in Europa”. A peggiorare il quadro della situazione - ha spiegato Gratteri - anche le recenti riforme legislative, che dal governo Draghi a oggi hanno avuto un impatto fortemente negativo sulla giustizia: inutili sia per velocizzare i processi, sia per tutelare le vittime dei reati. “Le riforme che sono state fatte, sia durante il governo Draghi che durante questo, non servono assolutamente a nulla, né a velocizzare i processi né a rendere più sicure le parti offese. L'unica utile - ha precisato - è quella fatta quest’estate sulla cyber, che ci ha consentito di arrestare l’hacker che aveva il dominio del Ministero della Giustizia, che possedeva centinaia di password di magistrati italiani”. Anche per questo motivo, Gratteri ha richiamato l’attenzione sulla necessità di curare il più possibile l’impegno civile, aiutando chi è in difficoltà e non restando in silenzio davanti alle ingiustizie. “Io penso che ognuno di noi debba andare oltre, impegnarsi nel sociale, aiutare chi ha bisogno e prendere posizione”. E aggiunge: “Quando non si è convinti di una cosa, bisogna dirla, bisogna denunciarla, guardare negli occhi l'interlocutore e dire quello che si pensa. Anche a certi livelli, soprattutto chi ha la possibilità di parlare, io penso che il silenzio si chiami complicità”. Tornando al tema della giustizia, il procuratore della Repubblica di Napoli ha voluto fare qualche precisazione anche sulla stretta alle intercettazioni telefoniche e ambientali, una misura che, per molti addetti ai lavori, sembra essere un vero e proprio regalo a chi commette reati. “È inutile che si faccia lo spartiacque tra reati comuni e quelli di criminalità organizzata. Non puoi escludere la possibilità di fare intercettazioni invasive per reati come corruzione e concussione, perché fanno gomito a gomito, da una parte con certa politica e dall’altra con certa mafia”.
Fonte: Ansa
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