Se un magistrato esprime un opinione in pubblico, tramite un intervento, un’intervista o un convegno, su un tema di attualità (es. mafia, stragi, migranti, corruzione etc...) non potrà più occuparsi di qualsiasi caso che tocchi anche indirettamente quelle vicende. Pena pesanti sanzioni disciplinari. Un vero e proprio 'reato di opinione' che preclude in maniera palese uno dei principi fondamentali della Carta Costituzionale. La norma, riporta 'il Fatto Quotidiano''' è nascosta tra le righe di un decreto legge organizzativo destinato teoricamente alla “destinazione dei giudici di pace onorari” e al “limite della decennalità per i magistrati addetti ai procedimenti in materia di famiglia”. All’articolo 4 della bozza di provvedimento, infatti, compare una modifica importantissima alla legge sugli illeciti disciplinari dei magistrati, la 109 del 2006.
In cosa consiste?
I giudici o i pubblici ministeri dovranno rinunciare ad occuparsi del fascicolo non solo nei casi previsti dalla legge (in linguaggio giuridico se è prevista “la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge”) ma anche se esistono non meglio precisate “gravi ragioni di convenienza”.
Una frase che, di fatto, può dire tutto e il contrario di tutto.
Si intende forse affermare che un magistrato che ha espresso opinioni sulle stragi (così come sui migranti o sulla corruzione) potrebbe nutrire un qualche interesse personale ("ragioni di convenienza") a occuparsi delle indagini che riguardano proprio quel tema?
E se è cosi chi dovrà valutare se sussiste o meno una situazione di questo tipo?
La maggioranza politica di turno?
Quindi a seconda di come tira il vento politico un magistrato potrà parlare o non parlare di certe tematiche.
Non è difficile intuire il disegno: in Italia ci sono ancora voci libere nella magistratura che parlano dei temi più scottanti. Basti pensare alle stragi del 1992 - '94, del coinvolgimento degli apparati di sicurezza, dei casi di costruzione sistematica, e poi i migranti, gli scandali governativi e via elencando.
Il Ministro della Giustizia, in questo caso Carlo Nordio, potrà mandare, una volta che la norma sarà approvata, a processo le toghe davanti al Csm che rischieranno sanzioni che vanno da semplice ammonimento alla rimozione dall’ordine giudiziario, passando per la censura, la perdita di anzianità e la sospensione dal servizio.
Una situazione molto simile ad un conflitto di interessi che andrebbe a colpire quei magistrati esperti che si sono occupati di temi particolarmente delicati e che poi hanno espresso le loro opinioni in pubblico.
Quindi gli unici che potranno ancora parlare, in un futuro molto vicino, saranno gli avvocati, le parti civili o gli imputati stessi.
"Gli attacchi del governo Meloni alla magistratura somigliano sempre di più alla resa dei conti definitiva di un blocco di potere che non tollera di dover sottostare alle regole e ai principi dell'ordinamento costituzionale. Sul Fatto Quotidiano leggiamo dell'ultima mossa con cui il governo punta a punire i magistrati non graditi, un provvedimento che, se sarà approvato, arriverà dopo un'aggressione verbale che va avanti da un anno e mezzo e che non ha precedenti, dopo le pagelle, dopo i test psico-attitudinali e in attesa del colpo finale con la riforma costituzionale sulla separazione della carriere e il nuovo Csm" ha affermato i rappresentanti del M5S nelle commissioni Giustizia della Camera e del Senato Stefania Ascari, Anna Bilotti, Federico Cafiero de Raho, Valentina D'Orso, Carla Giuliano, Ada Lopreiato e Roberto Scarpinato. "Secondo le notizie che leggiamo - aggiungono - il governo in un prossimo decreto legge modificherà la legge sugli illeciti disciplinari dei magistrati, nella parte in cui stabilisce che tra gli illeciti è prevista 'la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge', aggiungendo le parole 'o quando sussistono gravi ragioni di convenienza'. E quali sarebbero le ragioni di convenienza? Naturalmente non si sa, si tratta di un foglio bianco a disposizione del ministro della Giustizia per disporre l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati non compiacenti alle politiche del governo. Ad esempio, quelli che in osservanza del diritto europeo bocciano le disposizioni del governo in materia di immigrazione. Oppure quelli che esprimo posizioni nel dibattito pubblico. Solo per citare un caso potenzilmente pertinente: i magistrati non potranno più essere chiamati in audizione come esperti nelle commissioni parlamentari? La postura assunta dal governo in materia di giustizia è talmente grave da costringere a parlare di atteggiamento eversivo. Serve una immediata mobilitazione a livello istituzionale e popolare".
In questo contesto, sembra delinearsi una riedizione di un vecchio schema. Già la riforma della giustizia introdotta dalla ministra Cartabia aveva imposto una limitazione alla libertà di espressione dei magistrati. L’obiettivo dichiarato dal Consiglio dei Ministri del governo Draghi era quello di recepire la Direttiva UE 2016/343, volta a rafforzare alcuni aspetti della presunzione di innocenza. Tuttavia, la traduzione normativa delle direttive europee, attraverso un raffinato processo politico di modifica, ha assunto nei fatti la natura di una restrizione, principalmente a carico dei pubblici ministeri. Questi ultimi sono stati posti nell’impossibilità di fornire informazioni, men che meno alla stampa. La riforma ha stabilito che la comunicazione ufficiale sarebbe spettata esclusivamente ai procuratori della Repubblica, e solo in presenza di situazioni di rilevante interesse pubblico.
Tuttavia un micro spiraglio era rimasto: si poteva ancora esprimere la propria opinione su fatti non coperti da segreto o per i quali era in corso un processo.
Ma il governo dei patrioti ha pensato bene di potere intervenire anche su questo.
Foto © Imagoeconomica
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