Non fu solo la 'Ndrangheta ad uccidere il magistrato. Sui mandanti non c'è ancora chiarezza
“Bruno Caccia, negli anni precedenti al suo assassinio, fu monitorato dai servizi di sicurezza (all’epoca Sid, poi Sisde). Che lo indicavano come magistrato con simpatie comuniste inteso, a mio modo di vedere, come uno che non guardava in faccia a nessuno. Il suo è stato un delitto commesso per fondare nuovi equilibri nella città di Torino”. A dirlo sabato scorso durante il convegno organizzato dal Movimento delle agende rosse (“Omicidio Bruno Caccia, il diritto di conoscere la verità”) che si è tenuto a Torino, è stato l'avvocato Fabio Repici.
Un evento che ha visto la partecipazione di Lucia Musto (procuratore generale di Torino) e delle figlie del magistrato Paola e Cristina Caccia, il docente-ricercatore Roberto Leggero, ed i giornalisti Paolo Borrometi ed Ettore Boffano.
Proprio Paola e Cristina Caccia, in apertura di evento, hanno evidenziato come sul caso della morte del padre, ucciso dalla ‘Ndrangheta il 26 giugno 1983, vi sia "una strada ancora da percorrere, un cammino aperto che non finisce, in attesa di una chiarezza che non ci pare sia stata ancora fatta".
Certamente tra i più tenaci nella ricerca della verità vi è proprio il loro legale, Fabio Repici. Come riportato dal quotidiano La Stampa, Repici nel suo intervento è stato come sempre netto, rimarcando che l'uccisione del giudice non può essere considerata come un qualcosa maturato "in una sorta di spontaneismo della sola 'Ndrangheta".
E poi ancora: "Esattamente come per la strage di via D’Amelio e quella della stazione di Bologna, quello di Caccia è un delitto che è servito a nuovi equilibri di potere in questa città".
Una tesi rafforzata anche da ciò che avvenne in fase di indagine immediatamente dopo l'uccisione con tanto di false piste messe in campo.
Comunque nel 1992 si arrivò alla condanna all'ergastolo del mandante Domenico Belfiore e, molti anni dopo, dell'esecutore materiale Rocco Schirripa (sentenza definitiva nel 2020). Ugualmente non mancano le zone d'ombra attorno al delitto (come ad esempio la possibilità che a sparare vi sia stato anche un altro soggetto), nonché sulla presenza di altri mandanti esterni all'organizzazione criminale.
Fabio Repici © Paolo Bassani
"Che Domenico Belfiore e Rocco Schirripa fossero colpevoli non c’è dubbio (sentenze definitive ndr), ma insieme a chi hanno ucciso Caccia? - si è chiesto ancora Repici - Con quali mandanti e con quale causale?".
Quel che è certo è che la morte di Bruno Caccia è avvenuta in un momento storico delicato a Torino e anche all'interno del palazzo di Giustizia c'era un clima abbastanza pesante.
Di questo ha parlato il giornalista Ettore Boffano, all’epoca cronista di giudiziaria: "Con la premessa che la mia testimonianza non vuole attribuire ad alcun magistrato ruoli di mandanti o partecipi, ricordo che il 27 giugno (il giorno dopo il delitto) io e un collega de La Stampa ci recammo negli uffici della vecchia procura perché volevamo raccogliere le reazioni di choc del mondo giudiziario. In una stanza incontrammo un alto magistrato all’epoca in servizio che era stato messo all’angolo da Caccia. Ci disse: 'Hai visto? A furia di rompere i coglioni a tutti va a finire che qualcuno si incazza. Non l’ho mai detto, né scritto. Lo faccio 41 anni dopo. Ricordando nitida la sensazione che all’epoca, in quel palazzo ci fosse qualcosa di ammalorato e se si potrà ancora cercare la verità credo che anche su questo sarà opportuno riflettere e che tutto questo in qualche modo possa avere avuto un peso".
Il procuratore generale Lucia Musti, che ha voluto ribadire l'impegno della Procura di Torino e di Milano sul caso, ha ricordato Caccia come "collega che univa ad elevatissime capacità e competenze giuridiche, ma anche direttive, un forte carattere di magistrato, quel carattere che è un requisito indispensabile quando si dirige un ufficio ed in particolare un ufficio requirente di rilievo qual era ed è tuttora la Procura della Repubblica di Torino".
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