I giudici della Corte non bocciano del tutto la legge, che rischia ora di restare in una situazione di stallo
La Corte Costituzionale ha esaminato i ricorsi presentati da quattro regioni - Puglia, Toscana, Sardegna e Campania - tutte amministrate dal centrosinistra, contro la legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Pur accogliendo parzialmente i ricorsi, non ha dichiarato la legge incostituzionale. Resta, quindi, il rischio che il referendum possa essere bloccato, anche se occorrerà attendere la decisione definitiva della Corte di Cassazione.
In pratica, i giudici hanno confermato la legittimità dell’impianto generale della legge, ma hanno comunque dichiarato incostituzionali sette punti specifici del testo. Ad ogni modo, tra le questioni più rilevanti spicca l’obiettivo di adattare le politiche regionali alle specificità territoriali, soprattutto in settori chiave come sanità, istruzione, ambiente, energia e trasporti. I sostenitori della riforma sull’autonomia differenziata ritengono che una maggiore “responsabilizzazione” delle Regioni possa migliorare l’efficienza amministrativa e rispondere meglio alle esigenze locali. Tuttavia, i critici temono che il modello proposto rischi di accentuare le disparità tra le diverse aree del Paese.
Tornando alla decisione dei giudici della Corte Costituzionale, tra i profili giudicati incostituzionali spicca la delega legislativa per determinare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) senza adeguati criteri direttivi. I LEP non sono altro che un insieme di servizi e prestazioni che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di appartenenza. Il loro scopo è assicurare l’equità territoriale, garantire la qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale e prevenire che i cittadini delle regioni meno sviluppate siano penalizzati rispetto a quelli delle aree più ricche. I settori chiave che rientrano nei LEP includono la sanità, l’istruzione, l’ambiente, l’energia e i trasporti. Riguardo a questo tema, la Corte ha sottolineato che i criteri per definire i LEP presenti all’interno del testo sull’autonomia differenziata sono vaghi e non rispettano il principio costituzionale che richiede un ruolo attivo del Parlamento. Inoltre, i giudici della Corte hanno dichiarato illegittima anche la possibilità di poter modificare le aliquote di compartecipazione ai tributi erariali tramite decreti interministeriali. Queste aliquote stabiliscono la percentuale del gettito di alcune imposte statali, come IVA o IRPEF, da destinare alle Regioni o agli enti locali per finanziare i servizi pubblici di loro competenza. In pratica, hanno lo scopo di garantire risorse stabili alle Regioni per rispondere ai bisogni del territorio, mantenendo un equilibrio tra autonomia regionale e solidarietà nazionale. In sostanza, queste aliquote permettono alle Regioni di ricevere risorse proporzionate ai loro compiti, assicurando un bilanciamento tra autonomia e coesione.
Anche per questo motivo, i giudici della Corte Costituzionale hanno contestato l’idea di trasferire intere materie legislative alle Regioni senza una valutazione caso per caso. Il rischio, infatti, potrebbe essere quello di aumentare i divari territoriali e svuotare il Parlamento delle sue funzioni. Infine, la Corte ha stabilito che l’autonomia differenziata non si può applicare alle Regioni a statuto speciale, visto che queste hanno già regole ben specifiche. Insomma, la legge tanto voluta dalla Lega sembra trovarsi in una situazione di stallo. Da un lato, la Corte non l’ha bocciata del tutto, lasciando uno spiraglio per possibili interventi correttivi. Dall’altro, le criticità di natura tecnica e politica rendono difficile immaginare che il provvedimento possa essere salvato nella sua forma attuale. Per essere applicata, la legge sull’autonomia differenziata richiederebbe una revisione, ma i tempi sono ormai stretti, visto che siamo già al terzo anno di legislatura.
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