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L’allarme dell’antimafia: troppi ergastolani ottengono permessi premio, rischio di riorganizzazione mafiosa

Apparire come “detenuti modello” per ottenere la libertà condizionale: sembra essere questo l’obiettivo di molti boss coinvolti nei peggiori crimini di mafia. Questo, nonostante la gravità dei reati commessi, comprese stragi e omicidi, e soprattutto nonostante la loro mancata collaborazione con la giustizia nel fornire informazioni utili per delitti ancora irrisolti. Il sospetto è che ci si trovi di fronte a una vera e propria strategia pensata per sfruttare le falle del sistema penitenziario, facendo leva sulla buona condotta e sui programmi di reintegrazione per dimostrare una presunta “riabilitazione”, mostrandosi come persone cambiate, meritevoli di una seconda possibilità. Gli esempi di boss pericolosi che cercano scappatoie legali non mancano: tra questi, anche quello del boss Giuseppe Graviano, diventato negli anni '80 il reggente del mandamento di Brancaccio-Ciaculli insieme al fratello Filippo. Implicato nell'omicidio del sacerdote antimafia don Pino Puglisi e nelle stragi del ’92 e del ’93, in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme a diversi agenti delle loro scorte, Graviano è anche coinvolto negli attentati dinamitardi di Roma, Firenze e Milano. Il suo curriculum mafioso è di altissimo profilo criminale. Durante una conversazione intercettata, Graviano ha raccontato di aver consigliato al figlio di trasferirsi in un Paese fuori dall’Unione Europea per chiedere e ottenere la cittadinanza. Una volta stabilitosi nel nuovo Paese, non avrebbe dovuto fare altro che riunire i genitori grazie a un sistema giuridico più permissivo. Tra i boss ergastolani che hanno già presentato richiesta di liberazione condizionale figura anche Paolo Alfano, un altro nome di altissimo profilo criminale. Attualmente recluso nel carcere di Parma, Alfano ha dimostrato una condotta esemplare, secondo quanto riferito dagli educatori del penitenziario. Tuttavia, non ha mai rivelato dettagli sui propri crimini, né ha dato prova concreta di un reale distacco dal suo passato criminale. Un dettaglio significativo, cui va aggiunto - come ha ricordato anche Repubblica - che Alfano, definito dai giudici Falcone e Borsellino “il killer più spietato di corso dei Mille a disposizione di Filippo Marchese”, ha un figlio che è genero di un altro boss palermitano, Nino Sacco, mentre un altro figlio avrebbe cercato lavoro presso il capomafia Giulio Caporrimo. C’è poi chi, come Giovanni Formoso, boss di Misilmeri, dichiara la propria innocenza, sostenendo di essere vittima di falsi pentiti e dunque ingiustamente perseguitato. Non sorprende, quindi, la preoccupazione delle autorità competenti riguardo alla norma penitenziaria che, in alcuni casi, permette ai giudici di sorveglianza di concedere permessi premio senza l’obbligo di consultare le procure. Per questo motivo, la Direzione Nazionale Antimafia sta spingendo per una modifica della norma, richiedendo un consulto preventivo con le procure competenti in casi come questi. Una preoccupazione legittima, quella della Direzione Nazionale Antimafia, soprattutto considerando che diversi boss stanno tornando a Palermo, mentre i clan mafiosi sono in fermento: una situazione dimostrata anche dall’aumento del traffico di droga e di altre attività legate agli interessi della criminalità organizzata.

Foto © Imagoeconomica

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