Il processo ai presunti fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro si è aperto con dichiarazioni spontanee da parte di Massimo Gentile, uno degli imputati. Architetto originario di Campobello di Mazara e dipendente del comune di Limbiate, in Lombardia, Gentile è accusato di aver prestato la sua identità al boss mafioso per un decennio, dal 2007 al 2017. Durante l’udienza, l’imputato ha affermato di essere una vittima e di non aver volontariamente fornito i propri documenti. Secondo la sua versione, qualcuno avrebbe rubato la sua carta d'identità per consegnarla a Messina Denaro.
Il contesto è quello della lunga latitanza del boss di Castelvetrano, durante la quale Messina Denaro avrebbe utilizzato l'identità di Gentile per diverse operazioni. Tra queste, l'acquisto di un'auto, la stipula di un’assicurazione per una moto e persino il ritiro di un assegno in banca. Il collegamento tra Gentile e il boss è particolarmente significativo per via della parentela dell’architetto con Salvatore Gentile, noto killer mafioso e marito di Laura Bonafede, storica amante di Messina Denaro.
Massimo Gentile è difeso dall'avvocato Antonio Ingroia e ha commissionato delle perizie grafologiche per dimostrare che la firma sui documenti in questione non è la sua, ma quella del boss. Secondo le perizie, la scrittura sarebbe effettivamente quella di Messina Denaro, ma per la procura questo elemento non ha grande rilevanza. Gli inquirenti considerano il presunto furto della carta d'identità come una mossa deliberata per dissimulare la partecipazione volontaria di Gentile ai reati. Inoltre, è stato documentato che Gentile avrebbe personalmente gestito l'acquisto e la demolizione della moto utilizzata dal boss durante la sua latitanza.
Gentile è accusato di associazione mafiosa, la stessa ipotesi di reato contestata a Cosimo Leone, tecnico radiologo dell'ospedale di Mazara del Vallo. Un altro imputato, Leonardo Gullotta, è invece accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Durante l'udienza, si sono costituite parti civili l'azienda sanitaria di Trapani e i comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara, i luoghi in cui si è nascosto il capomafia per anni.
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