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Celebrata la requisitoria nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo. Assente il leader della Lega

Matteo Salvini era consapevole dell'illegittimità dei suoi atti”, ha dichiarato la Procura di Palermo durante la requisitoria nel processo contro l'ex ministro dell'Interno. La pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella e dai sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi, ha chiesto sei anni di carcere per Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio nel caso dei migranti trattenuti a bordo della nave Open Arms nell’estate del 2019.

Il leader del Carroccio, allora ministro dell'Interno, aveva bloccato lo sbarco di 147 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia dalla nave della Ong spagnola Open Arms. Secondo la Procura, la decisione di non concedere un porto sicuro violava i diritti fondamentali delle persone a bordo e costituiva un sequestro di persona. “Il migrante ha diritto a un porto sicuro”, ha sottolineato Ferrara, facendo riferimento alle convenzioni internazionali che impongono agli Stati l'obbligo di soccorrere chi è in pericolo in mare.

Il pubblico ministero ha evidenziato che la strategia dei "porti chiusi" perseguita da Salvini ha provocato un “caos istituzionale”, costringendo altre istituzioni a cercare soluzioni di emergenza. In particolare, Ferrara ha ricordato che i minori a bordo della nave furono trattenuti fino al 18 agosto 2019, mentre gli adulti rimasero fino al 20 agosto, data in cui la procura di Agrigento dispose il sequestro preventivo dell’imbarcazione e lo sbarco di tutti i migranti.

La procuratrice Sabella ha affermato che “non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare”, sottolineando che il principio del soccorso in mare è universale e che la priorità dev'essere sempre la salvaguardia della vita. La requisitoria ha demolito anche l’argomentazione secondo cui Libia e Tunisia potessero essere considerati "porti sicuri", una tesi sostenuta da Salvini. Perfino Matteo Piantedosi, attuale ministro dell'Interno e all’epoca capo di gabinetto di Salvini, ha ammesso in aula che la Libia non poteva essere considerata un porto sicuro.

Nonostante l’assenza in aula, Salvini ha risposto attraverso i social, dichiarando: “Rischio fino a quindici anni di carcere per aver mantenuto la parola data agli elettori. Rifarei tutto: la difesa dei confini dai clandestini non è reato”. La sua linea difensiva si basa sulla convinzione che la chiusura dei porti fosse un atto necessario per la protezione dei confini nazionali, ma la procura ha respinto questa giustificazione, sostenendo che i diritti umani, in particolare quelli dei naufraghi, debbano prevalere.

La pm Righi ha ribadito che Salvini, in quanto ministro, aveva l'obbligo di indicare un porto sicuro per lo sbarco dei migranti e che questi ultimi avevano maturato il diritto di vedere riconosciuta la propria libertà personale. Nessun rischio di terrorismo giustificava il blocco, e la nave Open Arms rispettava tutte le disposizioni di legge. “Non c'è stata alcuna collusione con gli scafisti”, ha concluso Sabella, smontando un'altra difesa avanzata dal team legale di Salvini.

L'esito del processo sarà determinante per chiarire i confini tra la tutela della sicurezza nazionale e la salvaguardia dei diritti umani, in un caso che ha suscitato un ampio dibattito pubblico e politico.

Foto © Imagoeconomica

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di Saverio Lodato
  

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