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Ieri l'ultimo intervento della difesa. L'avv Scozzola: "Chiedo l'assoluzione di Scotto Gaetano

Si dovrà attendere la fine dell’estate per sapere se il boss dell'Acquasanta Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto verranno condannati. I due siedono sul banco degli imputati davanti alla Corte d'Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta (a latere Monica Sammartino) perché rispettivamente accusati di duplice omicidio aggravato in concorso e di favoreggiamento aggravato per l'omicidio dell'agente Nino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio (incinta), uccisi il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.
Quella di ieri è stata l'ultima udienza per la discussione delle parti. Il prossimo 7 ottobre sarà la volta per le eventuali repliche e, quindi, la decisione della Corte.
Nel corso del processo è emerso che l’agente Agostino - al tempo in servizio al Commissariato di San Lorenzo - raccoglieva informazioni sui latitanti nel territorio del mandamento di Resuttana. "Un fatto importante da risultare decisivo nella valutazione di quella che deve essere la responsabilità di chi faceva parte di questa compagine criminale", hanno detto le difese di parti civili, l'avv. Monastra e Repici, nelle scorse udienze. Quindi non solo Nino Madonia (giudicato in un procedimento parallelo con rito abbreviato, ndr) ma anche Gaetano Scotto, suo stretto collaboratore, per il quale la procura generale nelle scorse settimane ha chiesto l'ergastolo.
L’agente Agostino nell'ambito di questa attività riservata di ricerca dei latitanti, o di collaborazione con i servizi segreti, è venuto a conoscenza di fatti e circostanze indicative di rapporti di ambigue contiguità tra esponenti di Cosa nostra ed esponenti deviati delle istituzioni. Da qui la sua volontà di prendere le distanze dal contesto nel quale operava “in modo riservato e non ufficiale” per evitare di finire nel “calderone”, come disse il procuratore generale Umberto De Giglio nel corso della sua requisitoria.
Per il legale di Scotto, l'avv. Giuseppe Scozzola, invece, non è così. “Non ha senso riferire quel termine (calderone, ndr) a quel fatto (la preoccupazione di Nino per la sua incolumità, ndr) perché Agostino non faceva parte della polizia giudiziaria ma solo ed esclusivamente della volante e quindi non poteva avere quei rapporti, non poteva avere alcuna preoccupazione".
"Il problema che voi dovete affrontare è un altro - ha detto rivolgendosi alla Corte -. Per quale motivo la mattina del 5 agosto 1989 Agostino continua a dire a un suo collega 'voglio essere trasferito. Ho paura, me ne voglio andare alla Lungaro'? È il 5 agosto del 1989 certamente non c'è più Antinoro e quindi non ci sono più quel tipo di indagini che conduceva. C'è Montalbano che dice 'quando io sono entrato ho azzerato tutto e ho fatto un altro tipo di lavoro, un altro tipo di attività'".
Secondo l'avvocato questo "ci porta a ritenere che è tutt'altro che un delitto di mafia", che il duplice omicidio Agostino-Castelluccio avrebbe "altra natura che trae origine da ben altri rapporti". Elementi che porterebbero "alla assoluta mancanza di prova nei confronti di Scotto Gaetano. Per tali motivi concludo, così come il mio precedente difensore, chiedendo l'assoluzione di Scotto Gaetano per non aver commesso il fatto contestato". 

Foto © Paolo Bassani

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