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Dario Vergassola intervista il procuratore di Napoli per parlare di lotta alla mafia, intercettazioni e dark web

La cosa più bella del mio lavoro è che io sono soggetto soltanto alla legge e posso permettermi il lusso, anche davanti a capi di Stato, di guardare tutti in faccia e dirgli che stanno sbagliando, senza problemi”. Lo ha detto il Procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, durante un'intervista condotta da Dario Vergassola a Porto Venere, in provincia di La Spezia, in occasione del festival divulgativo “Un mare di discorsi”. Durante il suo intervento, il Procuratore Gratteri, che da anni vive sotto scorta, ha spiegato l'evoluzione delle organizzazioni criminali. Oggi, queste organizzazioni sono in grado di utilizzare le più recenti tecnologie per portare a termine le loro operazioni, avvalendosi di ingegneri informatici piuttosto che di intermediari internazionali. “Ci troviamo in una fase molto evoluta, nella quale le organizzazioni criminali non hanno più il broker che va nella foresta amazzonica a comprare duemila chili di cocaina. Oggi si rivolgono agli ingegneri informatici che, con un telefonino, possono ordinare tutto ciò che desiderano affidandosi al dark web. In un caso - ha spiegato Gratteri - abbiamo accertato come in pochi minuti siano state fatte tre transazioni finanziarie in altrettante banche, mentre a Napoli, in un solo giorno, con un sequestro di bitcoin, abbiamo recuperato 280 milioni di euro poi messi nel Fondo Giustizia a disposizione della spesa del Ministero”.


Le intercettazioni

Gratteri ha anche espresso le sue considerazioni sull'uso delle intercettazioni, criticando coloro che le ritengono troppo costose. Secondo il Procuratore di Napoli, le intercettazioni sono strumenti utili sia per la buona riuscita delle indagini, sia per individuare ingenti somme di denaro derivanti da attività illecite. “Penso a chi dice che le intercettazioni non servono perché i mafiosi non parlano al telefono e che bisogna tornare ai pedinamenti, oppure che costano troppo. Un anno di intercettazioni costa circa 170 milioni di euro, ma con una operazione possiamo sequestrare 280 milioni, pagando l’attività investigativa per un anno e mezzo. Purtroppo, quando non si vogliono fare le cose, si parla di problemi inesistenti e il costo delle intercettazioni è un falso problema, perché ogni giorno, da Aosta a Siracusa, si fanno sequestri immensi”. E aggiunge: “La separazione delle carriere? Anche questo è un falso problema, perché ogni anno, su cento magistrati, solo lo 0,2% cambia funzione. La verità è che, in tutti i sistemi giudiziari del mondo dove c’è la separazione delle carriere, la pubblica accusa dipende direttamente dall’Esecutivo e questo è l’obiettivo finale. Sempre riguardo alle intercettazioni - ha proseguito - si dice che non bisogna preoccuparsi perché non verranno toccate quelle che riguardano i reati di mafia e terrorismo, ma sappiamo che oggi non c’è indagine di mafia in cui non c’è dentro un pezzo di politica o di pubblica amministrazione, quindi non posso essere tranquillo”.


Le mafie sono sempre più social

L’intervista a Gratteri non ha soltanto messo in luce la complessità della lotta alla mafia, ma ha anche evidenziato il ruolo della politica e la necessità di trasmettere un messaggio pubblico corretto attraverso i media. Per il noto magistrato, è fondamentale sensibilizzare adeguatamente l’opinione pubblica, soprattutto le giovani generazioni, che da anni sono esposte a una narrazione cinematografica che sembra esaltare lo stile di vita criminale, caratterizzato da lusso e potere. “In un momento in cui la politica è debole e non ha possibilità di spesa, le mafie stanno sempre sul territorio e danno risposte. Si muovono in base al guadagno e alla gestione del potere, comportandosi come aziende, investendo per farsi riconoscere: i messicani sono stati i primi a usare Facebook, mentre in Italia i camorristi da questo social si sono spostati su Tik Tok, dove mettono in mostra orologi d’oro e auto di lusso per fare colpo sui giovani. Anche la cinematografia è importante perché, iniziando da un capolavoro come ‘Il Padrino’, ci siamo tutti nutriti di un’idea non corrispondente al vero. Ne è uscito un prodotto dal messaggio molto edulcorato, quasi promozionale, così come le fiction degli ultimi anni, nelle quali non si vedono insegnanti, magistrati, preti o rappresentanti delle forze dell’ordine, nessuno”.


Questione di credibilità

Infine, parlando dei suoi incontri con i detenuti e della creazione di uno sportello pensato per i cittadini che intendono denunciare ma non sanno come fare o come gestire determinate situazioni, Gratteri si è soffermato sul suo impegno per migliorare la situazione a Napoli. “Sono pagato per osservare e far osservare la legge. Cerco di dare tutto me stesso con una squadra importante in quella che è la Procura più grande d’Europa. Un giorno alla settimana incontro gli ‘ultimi’ nelle carceri, quelli che hanno bisogno di essere ascoltati. C’è molta gente che non denuncia perché non sa con chi parlare e non viene rassicurata. Ho creato uno sportello apposito per capire come intervenire e cosa fare. L’ascolto è molto importante perché noi magistrati siamo ai minimi termini di credibilità. Abbiamo fatto degli errori da cui non abbiamo tratto insegnamento e a cui non abbiamo dato una risposta netta. Mi riferisco al caso Palamara - ha spiegato Gratteri - a seguito del quale, a mio avviso, tutti i componenti del CSM si sarebbero dovuti dimettere e andare a casa, magari ricandidandosi dopo. Questo - ha concluso - avrebbe dato alla gente e ai non addetti ai lavori l’idea che c’era la seria intenzione di voltare pagina, ma non è stato fatto e l’opinione pubblica ha pensato che la magistratura volesse solo auto proteggersi”.

Fonte: cittadellaspezia.com

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