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L’intervista de La Stampa al presidente emerito della Consulta sulla riforma costituzionale

"Le Costituzioni si fanno quando i popoli sono sobri a valere per quando sono ubriachi". È quanto dice Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta, in una intervista a La Stampa. "C'è una paralisi dialogica, perché questa riforma serve a costruire l'onnipotenza di un uomo o una donna - aggiunge sul premierato - è una situazione di paralisi democratica”. La Meloni spinge la riforma perché, a suo giudizio, il premierato consente una maggiore sovranità del popolo. “Il popolo della democrazia non è il popolo del populismo - spiega Zagrebelsky -. Quello è uno slogan efficace, che colpisce nel suo semplicismo. I contrari partono svantaggiati perché hanno bisogno di spiegare perché sono contrari a quello che, a prima vista, sembra un dono, una aggiunta alla democrazia". E ciò "in un sistema in cui i cittadini, votando ogni cinque anni, si consegnano a qualcuno. Cinque anni, in politica sono un'eternità. Il meccanismo previsto può farli diventare anche 12 e mezzo. Se si sciolgono le Camere prima della metà della legislatura, il capo può ripresentarsi", "il testo dice che non può esserci un terzo mandato consecutivo, ma dopo? E, se non fosse consecutivo?".

Sul timore di un regime Zagrebelsky si rifà al filosofo Jean-Jacques Rousseau quando disse: “Gli inglesi credono di essere liberi, ma in realtà lo sono una volta ogni quattro anni, quando vanno a votare. Dopo sono schiavi di quelli che hanno eletto”. “Le pare che dopo cinque anni di governo pressoché illimitato di una forza politica le successive elezioni si svolgeranno su un piano di parità? - si domanda durante l’intervista - Quando per cinque anni hai potuto occupare tutti i posti di potere, eliminare i contrappesi?”.

Per il presidente emerito della Consulta con il sistema elettorale prefigurato “chi ha vinto può prendersi il presidente della Repubblica con il premio di maggioranza, può creare a sua immagine la Corte costituzionale e il Csm, occupare la Rai e gli enti pubblici. Insomma, favorire gli amici a danno degli avversari. Chi dispone del potere ha una possibilità di acquisire e conservare il consenso, cioè i voti, molto maggiore di chi non dispone di altrettanti poteri" ed "è in corso un'occupazione che è già nella logica della riforma. 'Vinco e prendo tutto'. Le espressioni che vengono dal cuore sono le più sincere, come quando si dice: 'abbiamo vinto noi, fatevene una ragione'. In democrazia, l'idea che uno 'se ne debba fare una ragione' a seguito dei risultati elettorali, è una bestemmia".

Foto © Imagoeconomica

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