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L’ex ministro colpevole in primo grado per corruzione e finanziamento illecito

E’ stato condannato a 6 anni di carcere, in primo grado, l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, accusato di corruzione e finanziamento illecito in uno dei filoni dell'inchiesta Mondo di Mezzo. Il dispositivo di sentenza, letto quest'oggi dai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma, è stato anche più duro rispetto a quanto richiesto dal pm Luca Tescaroli (ovvero la condanna a 5 anni di detenzione). La corte ha inoltre condannato l'ex sindaco della Capitale alla confisca di 298.500 euro, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’impedimento di contrattare con la pubblica amministrazione per due anni. “Una sentenza sbagliata. Ricorreremo sicuramente in appello dopo aver letto le motivazioni. Io sono innocente l’ho detto sempre e lo ribadirò davanti ai giudici di secondo grado”, sono state queste le prime parole dell’ex esponente di Alleanza Nazionale dopo la decisione dei giudici capitolini.
I fatti contestati, che hanno portato alla condanna, risalgono al periodo tra il 2012 (quando Gianni Alemanno era ancora in carica come Primo cittadino della Capitale) e il 2014. In questo periodo l’ex ministro avrebbe ricevuto 223.500 euro dall’imprenditore Salvatore Buzzi in accordo con l’ex Nar Massimo Carminati, attraverso pagamenti alla Fondazione Nuova Italia (presieduta da Alemanno) e al suo mandatario elettorale e diecimila euro in contanti. A contribuire nell’affare anche l’ex amministratore dell’azienda romana dei rifiuti (Ama), Franco Panzironi, suo stretto collaboratore, che avrebbe fornito il suo aiuto e la sua intermediazione.
Il nome dell’ex ministro delle Politiche agricole e forestali è comparso per la prima volta nelle carte dell’inchiesta Mafia Capitale, il 2 dicembre 2014, con le prima retata di arresti dove sono finiti in manette 37 persone. I magistrati di piazzale Clodio lo accusavano, oltre al reato di corruzione per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio, anche di associazione a delinquere di stampo mafioso, accusa in seguito archiviata il 7 febbraio 2017. Gianni Alemanno è stato, secondo l’accusa, “l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia Capitale all’interno dell’amministrazione comunale soprattutto, in ragione del suo ruolo apicale di sindaco, nel periodo 29 aprile 2008-12 giugno 2013 (e successivamente di consigliere di minoranza in seno al Pdl)”. Il pm Luca Tescaroli, durante la requisitoria, aveva ricordato come i suoi “uomini di fiducia indagati e alcuni anche condannati in Mafia Capitale, sono stati proiezione della persona di Alemanno, che ha impiegato per la gestione del proprio potere, e si sono interfacciati con gli esponenti apicali di Mafia Capitale, suoi corruttori (Buzzi e Carminati)”. Il magistrato aveva poi aggiunto: Alemanno ha “venduto” la sua funzione anche con l’ausilio “del fidato Franco Panzironi, parimenti corrotto”, al “sodalizio criminale Mafia Capitale” che “è riuscito a ottenere il controllo del territorio istituzionale di Ama spa, società presieduta dal Comune di Roma, incaricata di pubblico servizio, ente aggiudicatore di appalti, target privilegiato dell’organizzazione”. E ancora: Alemanno “ha consentito di porre le strutture del suo ufficio, di Ama Spa e di Eur Spa a disposizione di Buzzi e di Carminati”. Per quanto riguarda la società Ama e Roma Capitale, dovranno essere risarcite dall’ex sindaco ed è stata fissata una provvisionale di 50mila euro sia per la municipalizzata che per il Campidoglio. Alla notizia della condanna in primo grado di Alemanno il presidente della Commisione Parlamentare Antimafia, Nicola Morra, ha commentato “potrà soddisfare tanti e scontentare tanti altri, ma sentenza!” e quindi “ragioniamo insieme su come e quanto la cosa pubblica sia stata in passato asservita a logiche di mafia”.

Foto © Imagoeconomica

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