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roma mafia capitale tramontodi Giuliano Girlando
E così oggi alla seconda udienza del processo sul “mondo di mezzo” ribattezzato dalle cronache quotidiane “Mafia Capitale” vanno in scena le richieste di parte civile delle varie associazioni antimafia e anti-racket che fanno così in modo gli avvocati delle difese degli imputati. “Ma di quale mafia parliamo? Dove sta la mafia?” L'inizio è stato affidato alla difesa di Massimo Carminati fatta stavolta dalla figlia dell'avvocato Naso, forse meno arrembante del padre, ma molto diretta nel sostenere che le eccezioni alla richiesta delle varie associazioni antimafia sarebbero intrinsiche alla natura delle associazioni stesso. Tradotto significa che quella cultura legalitaria che ha fatto nascere e muovere le associazioni antimafia e anticorruzione, deriva dalla “mafia storica” e dalle sue organizzazioni criminali, più conosciute come Cosa Nostra, 'Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Quinta Mafia e via dicendo. Ergo viene da se che dall'impalcatura accusatoria della procura di Roma non vi è traccia di questa storicità mafiosa. Per farla breve e semplificarla Massimo Carminati non è il capo della cupola mafiosa e non può essere paragonato ai vari Riina, Provenzano, Cutolo e Schiavone. Tanto più se andiamo a vedere tracce di omicidi, stragi non ve ne sono e quindi ciò che chiedono le associazioni è semplicemente inaccettabile. Così dopo la requisitoria della difesa di Massimo Carminati hanno fatto seguito le altre difese sulla stessa linea d'onda. Se mai ci sia un sistema corruttivo che in questi anni è cresciuto a Roma e nel Lazio, era di fatto un sistema di “induzione alla corruzione”, ovvero per far lavorare le cooperative bisogna passare per la politica e ungere quel politico di turno che gestiva in quel momento la macchina amministrativa e i vari livelli di appalti. Si può dunque processare il “così fan tutti”? Ecco, questo diventa così il grande dilemma giudiziario, un processucolo di quart'ordine e dove per questo si sono sprecate pagine e pagine di inchiostro su quotidiani e riempiti i siti online con emerite minchiate da romanzieri. Che colpa ha Salvatore Buzzi capo delle cooperative se era obbligato quindi a chiedere ai politici del Pd e del Pdl se doveva far lavorare le sue società? Che colpa ha Massimo Carminati se doveva chiedere cortesie e assunzioni varie di amici degli amici per poi passare come un boss mafioso qualunque? Mi sono calato per un attimo nella parte degli avvocati difensori e devo dire che il discorso non fa una piega. L'Italia ormai malata da anni o meglio abituata da anni da questo sistema corruttivo non deve più subire processi su intrecci tra politica e corruzione o subire la gogna del binomio mafia e politica, anzi facciamo correre o scorrere questo fiume di idiozie e diciamolo che la mafia a Roma e nel Lazio non esiste e questo processo ne è la prova. Ammettiamo sia così, ma cosa succederebbe se un cronista qualsiasi, un giornalista scassaminchia o qualche scomoda e isolata firma provassero a dimostrare che questo quadro odierno di Mafia Capitale è il prodotto e il risultato di una ramificazione che ha radici di almeno 40 anni di storia a Roma e nel Lazio? Ovvero se si dimostrasse oggi attraverso articoli, inchieste o libri quanto quell'infiltrazione mafiosa che negli anni 70 si palesava con i vari Frank Coppola “tre dita” nel comune di Pomezia, a Roma con la presenza di boss in fuga come Luciano Liggio o nella babba provincia di Roma, luogo di confino e soggiorno obbligato, avesse messo radici e mutato il nostro territorio, la forma delle nostre città,le nostre attività lavorative e produttive, i nostri costumi per arrivare oggi al sistema “Mafia Capitale” ovvero la deprimente quotidianità di fatti corruttivi, allora potremmo dire che la Mafia a Roma e nel Lazio c'è sempre stata? E cosi magari dimostrare anche quella storicità di cui oggi non c'è traccia nelle carte giudiziarie. Fantasticherie frutto di visionari o amara realtà?

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