Per i giudici non fu “mafia”, anche se “la Cassazione più volte riconobbe elementi costitutivi tipici della stessa"

L’importanza giudiziaria dell'inchiesta "Mafia Capitale" è stata quella di "riaffermare la legalità, avendo scoperto l’esistenza di un sistema di corruzione che è stato gestito da soggetti, anche pregiudicati, che hanno dato vita a comparti associativi. Facevano capo ad esponenti della destra eversiva e della sinistra che hanno dimostrato di coagularsi nella prospettiva di arricchirsi grazie alla complicità di esponenti politici e di funzionari che hanno venduto la loro funzione". Così il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli, uno dei magistrati che dieci anni fa ha condotto l'inchiesta che svelò al Paese un sistema di condizionamento della vita economica, politica e sociale di Roma in mano ad alcune organizzazioni criminali, seppur - secondo i giudici - non si trattò di mafia.
Fu fotografato "un compromesso storico criminale, dove si sono saldati soggetti appartenenti ad aree che avrebbero dovuto essere antitetiche secondo le ideologie del passato - dice Tescaroli ai microfoni di Repubblica -. Ma c’è stata una dimostrazione della presenza dello Stato che ha saputo reagire a questo sistema criminale, ottenendo risultati estremamente importanti sia sul versante dell’accertamento delle responsabilità penali sia con riferimento alle iniziative reali, alle confische di prevenzione". Tra queste anche l’attico e il super attico che si affaccia sulla Fontana di Trevi, che era di proprietà di Ernesto Diotallevi, ex della Banda della Magliana, che oggi ospita la sede della scuola della magistratura. Un fatto "importante", ha detto il pm.
"Le sentenze passate in giudicato vanno sempre rispettate - spiega -. Fatta questa premessa va detto che più volte, anche in Cassazione, sono stati riconosciuti elementi costitutivi del delitto di associazione mafiosa. Preferisco una valutazione sostanziale: i delitti sono stati riconosciuti, sono state riconosciute due associazioni a delinquere semplici collegate grazie al ruolo di Massimo Carminati: una si occupava di delitti di strada, l’altra di crimini contro la pubblica amministrazione". E comunque, "ci sono sentenze che dimostrano che può esistere una criminalità mafiosa senza un controllo capillare del territorio. Le mafie tradizionali, fuori dai territori di elezione ormai si muovono così".
Inoltre, quella di "Mafia Capitale" resta comunque un'inchiesta importante nata da un’indagine "assegnata al compianto procuratore aggiunto dottor Pietro Salviotti e a me". "Inizialmente non era concepibile capire dove saremmo arrivati, le prime ipotesi investigative erano riduttive rispetto a quello che abbiamo scoperto - continua il procuratore -. C’è stato un lavoro di squadra, con l’impegno in particolare dei pm Paolo IeloGiuseppe CasciniMichele Prestipino. E poi i Carabinieri e la Guardia di Finanza".

Foto © Paolo Bassani

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