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Sono tre bambini i protagonisti de Il giuramento dei cavalieri, il nuovo romanzo dello scrittore Domenico Rizzo. Le loro vite si incrociano sul finire degli anni Cinquanta, in un paese siciliano ad alta densità mafiosa. La narrazione si dipana da un giuramento iniziale fra i tre ragazzini, tratto dalla antica formula usata dai cavalieri templari, sigillata da una moneta-ciondolo che ognuno di essi porterà per sempre. Il giuramento basato sui valori della cavalleria - fiducia, solidarietà, amicizia - incarnerà l’impegno al mutuo aiuto.

Peter Handke, nella sua celebre poesia “Elogio dell’infanzia”, descrive questo patto ideale che molto spesso i bambini assumono tra loro, con parole emblematiche: “Quando il bambino era bambino/non sapeva di essere un bambino,/per lui tutto aveva un’anima/e tutte le anime erano un tutt’uno”. Così per Jacopo, Mattia e Cosimo: tutto ha un’anima e le loro anime sono una sola.

A contrastare questo status idilliaco dell’infanzia però è il contesto storico della mafia, i cui protagonisti e vicende incidono nel plot del racconto. Per tale ragione il libro, proprio in virtù dei riferimenti alla storia della mafia siciliana dal 1955 al 1986, può benissimo rientrare nel genere “romanzo storico”. Mentre per la sua esplorazione dell’universo dei bambini e degli adolescenti, si presta al genere letterario pedagogico.

Attraverso la fitta trama di eventi che narrano la vita di questi ragazzini fino alla loro età adulta, l’autore riesce a spiegare, senza scadere in luoghi comuni fuorvianti e retorici, e, soprattutto, con un’esposizione dai toni delicati e pacati, come e perché i minori di territori a rischio vengano reclutati dalle mafie. In primo luogo l’autore indica la contiguità tra il sistema criminale e quello sociale, che prospera a causa dell’omertà e del non detto nel mondo degli adulti. Un’altra ragione è data dalla corruzione di alcuni organi di contrasto alla criminalità. Anche il desiderio di affermazione, di realizzazione di un guadagno facile, di predominio sugli altri, che è insito nelle personalità fragili rende quest’ultime maggiormente esposte alle lusinghe senza fondamento offerte dalla malavita organizzata.

La conclusione che se ne trae è sociologicamente acquisita: vi è una nefasta simmetria tra lo sfruttamento dei minori da parte della criminalità e il rapporto che intercorre fra i minori e la società. Una bassa o inesistente protezione da parte della società verso il minore coincide con l’aumento del rischio di reclutamento da parte della criminalità: il minore resta in balia del mondo degli adulti e dei rapporti di forza della società in cui vive. Questo aspetto è ben messo in rilievo nel romanzo: il minore è reclutato perché più obbediente dell’adulto, non mira a prendere posti di comando, solitamente è insospettabile e si confonde con l'ambiente, costa poco perché si accontenta di poco.
Nella nostra epoca, per le mafie, i bambini sono soprattutto merce, non persone dotate di propri diritti. I quartieri dove abitano i bambini-merce sono alveari in cui vivono come api, sudditi del c. d. capo di quartiere, impossibilitati ad evadere da queste “carceri” per mancanza di alternative e per timore degli stessi boss che li minacciano di morte se decidessero di “abbandonare il campo”, poiché troppo hanno visto, troppi delitti e reati si sono svolti sotto i loro occhi. Nelle comunità in cui abitano compaiono violenze, aggressioni, stupri, proiettili vaganti. E così vivono confinati, in attesa di qualcosa o qualcuno che li liberi (ignari di modalità di autoriscatto che si eserciterebbero a partire da autostima e fiducia nel bene). Vanno avanti così, ogni giorno, con i loro volti arrabbiati o sottomessi, pieni di una paura mista a durezza, divenendo essi stessi nuovi carnefici di altri come lo sono stati loro.

Dopo 14 anni di attività di ascolto quotidiano dei bambini che noi chiamiamo “invisibili” e dei loro genitori, di Catania, e di alcuni paesi etnei, possiamo dire che spesso questi non riescono nemmeno a comunicare per essere ascoltati. Abbiamo imparato che il bambino-merce è invisibile, non accetta la società normale perché essa lo disorienta, e lo disorienta perché ne coglie la sua estraneità e se ne sente rifiutato, senza comprenderne le ragioni, e senza acquisirne consapevolezza.

Nel romanzo Il giuramento dei cavalieri i bambini vivono in una atmosfera in cui gli omicidi e la mancanza di diritti sono normalità, come se i cittadini fossero tutti attori di una macabra messinscena dove la coscienza del male è obnubilata dal terrore e dal “si è fatto sempre così”. E i rari esempi di ribellione a questo stato di cose devono essere prontamente zittiti ed eliminati.

L’unica via d’uscita allora è una ricetta che nel romanzo viene magistralmente esposta dalla figura dell’insegnante. Una ricetta che la nostra “Fondazione La Città invisibile”, con il programma “Scuola di vita e orchestra Falcone Borsellino” ha messo in pratica, raggiungendo risultati che superano le nostre stesse aspettative: mettere al centro dell’azione educativa l’ascolto e il bambino in quanto persona. Non a caso Domenico Rizzo ha dedicato il suo libro alla nostra compianta Marinella Milazzo, Cavaliere della Repubblica, che ha prestato la sua opera educativa volontaria nel recupero dei minori a rischio attraverso la Città Invisibile.

Non dimentichiamo che l’Orchestra giovanile “Falcone Borsellino” è metafora della comunità, è luogo di educazione all’ascolto e di mutua collaborazione. Un metodo delineato da Paolo Borsellino con il suo discorso sul “fresco profumo” che sta nel rifiuto del compromesso e della rassegnazione, nella valorizzazione della verità e della giustizia, nel potenziamento della cultura con mezzi puliti e soprattutto essenziali.

Consiglio vivamente la lettura di questo romanzo a educatori e studenti, poiché stimolano a sperimentare direttamente metodi di autentica resistenza e libertà.  

Realizzazione grafica by Paolo Bassani

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