Il sacerdote nel giorno del 33esimo anniversario dell’omicidio del giudice Rosario Livatino
"Bisogna trovare il coraggio di avere più coraggio. Abbiamo avuto testimonianze di persone che lo hanno fatto, si sono sacrificate, molte sono state anche emarginate, ma che hanno portato un grande contributo nel contrasto alla violenza criminale mafiosa. Oggi, in Italia, si è passati dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato, cioè nella coscienza della gente è diventato uno dei tanti problemi. E invece non lo è. La presenza criminale è ancora molto presente e molto viva". Lo ha detto don Luigi Ciotti, a Santo Stefano Quisquina (Agrigento), nel giorno del 33esimo anniversario dell'uccisione, da parte della criminalità organizzata, del giudice Rosario Livatino, "Loro si sono performati - dice il sacerdote che ha creato l'associazione 'Libera' - e tocca anche a noi unire le nostre forze per diventare una forza propositiva, di cambiamento. Non possiamo delegarlo solo alla magistratura e alle forze di polizia. Se vogliamo bene al nostro Paese, ai nostri territori dobbiamo avere il coraggio di avere più coraggio. E quando vediamo delle cose che non vanno bene dobbiamo, trovando i modi giusti, collaborare per la ricerca della verità e della giustizia. Non dimentichiamoci che la presenza mafiosa c'è - sottolinea don Ciotti - e che oggi i grandi boss sono passati dalle forme più arcaiche di una volta a essere manager e imprenditori del Paese. Si camuffano e sono presenti. E allora dobbiamo essere ancora più presenti noi".
"Non va dimenticato che l'ultima mafia è sempre la penultima. Quando vediamo le grandi operazioni di contrasto che vengono fatte, dobbiamo riconoscere la positività del lavoro di magistrati e forze di polizia, ma è la penultima mafia che è stata colpita. E questo perché nei codici genetici dei mafiosi c'è un imperativo: rigenerarsi, sopravvivere". "Tocca anche a noi - ha aggiunto - essere persone che si rigenerano ancora di più, essere cittadini veri per estirpare il male non solo in superficie, ma alla radice. Livatino ha dimostrato la sacralità delle istituzioni. Dobbiamo distinguere fra la sacralità delle istituzioni e chi le governa. Nel nostro Paese, la stragrande maggioranza delle persone rendono sacre le istituzioni con il loro impegno. Ma c'è una minoranza che non è degna di rappresentare queste istituzioni, ma è una minoranza. Bisogna far emergere la maggioranza, la sacralità delle istituzioni. L'istituzione magistratura - ha sottolineato il fondatore di Libero - Rosario Livatino l'ha resa veramente sacra, anche con il sacrificio della sua vita. Era un ottimo magistrato, rispettava le regole, le faceva rispettare ed era capace di portare, nella sua professione, la dimensione di spiritualità e profondità nel servizio per il bene di tutti. In più aveva vissuto una testimonianza cristiana e una responsabilità civile, aveva saldato fortemente insieme queste dimensioni. La sua testimonianza resta un esempio per noi, lui lottava anche contro l'omertà, contro quelli che non hanno mai il coraggio di assumersi una parte di responsabilità".
Foto © Imagoeconomica
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