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Al congresso del sindacato a Palermo presenti il segretario Landini e realtà sociali della città

“La via Maestra, insieme per la Costituzione”. È il titolo del congresso indetto dalla Cgil di Palermo che ha ospitato ieri mattina il segretario generale Maurizio Landini assieme a rappresentanti di varie realtà sociali del territorio per parlare di "Democrazia, Diritti, Partecipazione, Giustizia Sociale". Pilastri della Costituzione italiana. L'iniziativa rientra all'interno di una più ampia organizzazione che vede il coinvolgimento di una vasta rete di oltre cento realtà associative, con le quali la Cgil ha indetto per il prossimo sabato 7 Ottobre una grande manifestazione nazionale a Roma, “per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l’attuazione della Costituzione, contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della nostra Repubblica Parlamentare”.

Tra gli invitati è intervenuto anche il giovane Jamil El Sadi, portavoce del Movimento Our Voice (nonché redattore di ANTIMAFIADuemila). Segue il suo intervento integrale.



Buongiorno a tutte e tutti,

Mi chiamo Jamil El Sadi, sono un ragazzo italo-palestinese e rappresento il Movimento Our Voice, un collettivo giovanile che da anni promuove l'intersezionalità delle lotte sociali, in modo particolare l'antimafia, lungo quattro bisettrici: arte, educazione, comunicazione, politiche territoriali. Ringrazio a nome dell'associazione che rappresento l'organizzazione TUTTA per avermi invitato a parlare. Quella odierna è solo una delle molte tappe de “La via Maestra, insieme per la Costituzione”. Un lungo percorso che sostanzialmente ruota attorno ai concetti di Democrazia, Diritti, Partecipazione e Giustizia Sociale. Pilastri portanti della Costituzione del nostro Paese.

Ho accettato con molto piacere l'invito a parlare dinnanzi a voi di questi temi, e mi scuserete se mi dilungherò un paio di minuti in più del previsto. Capite bene che quando ad un giovane viene dato spazio - oserei dire "finalmente" - di esprimersi liberamente senza censura alcuna, ogni secondo è oro e ogni orecchio teso ad ascoltare è un potente strumento per il cambiamento. Detto ciò, premetto anche mi assumo la responsabilità di ogni cosa che sto per dire.

Dopo due anni di crisi pandemica e quasi altrettanti di guerra in Ucraina, il nostro Paese riversa in condizioni catastrofiche, per non dire pietose. Dal nuovo inizio scolastico zoppicante si denota che le scuole – o quel poco che ne rimane - sono ancora alla deriva; la sanità è diventata una mercanzia per le aziende sanitarie e multinazionali farmaceutiche spesso eterodirette da lobby e "mafia col camice bianco"; la forbice sociale tra povertà e ricchezza si è acuita drasticamente annientando definitivamente il ceto medio, le piccole-medie imprese e migliaia di partite IVA: oggi o si è ricchi o si è poveri. Attraverso cataclismi, alluvioni, incendi, picchi di temperature mai registrate prima e tanto altro, la Natura ci implora ogni giorno di placare le nostre manie di dominio dettate da logiche di mercato in nome dell’innovazione tecnologica e del progresso.

Da decenni una vorticosa crisi politico-istituzionale travolge l’intero Paese. E non è che il risultato di una metastasi mai curata ed estirpata da un corpo in principio sano. Questo si verifica anche, e soprattutto, all’interno delle aule del Parlamento. Da un lato con il susseguirsi di plurimi governi tecnici non eletti dal popolo (che hanno caratterizzato le scorse legislature), dall'altro con la crescita galoppante del partito "del non voto". Sintomo di un virtuoso distacco tra la Politica e il Paese reale e dell'assenza di una vera opposizione (figura necessaria per la salvaguardia di ogni democrazia). Stiamo, inoltre, assistendo all'avanzare di una criminalità di settori rilevanti della classe dirigente storicamente radicata, la quale si è declinata sostanzialmente su tre versanti dall’unità d’Italia ad oggi: la corruzione sistemica; la collusione sistemica con la mafia; e l’utilizzo della violenza - compresi gli omicidi eccellenti e le stragi - come strumento improprio per falsare la lotta politica. Tutta la storia dell’Italia liberale è un susseguirsi di scandali, stragi e delitti eccellenti: da Tangentopoli allo scandalo della banca romana o quello della banca di Napoli, dalla strage di Portella della Ginestra a Capaci, via d’Amelio e le bombe a Firenze, Roma e Milano del 1993, di cui ancora oggi non si conoscono i nomi dei mandanti esterni.

Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla “marcia su Caivano”. Una maxi-operazione che ha poi portato l'esecutivo a promettere legge e ordine, anche se fare i conti con la realtà non è mai cosa semplice. Conviene quindi fare propaganda, come nel Ventennio. I cervelli de’ “noantri”, per non offendere nessuno, hanno annunciato in pompa magna che i genitori che non manderanno i figli a scuola finiranno in galera - "fino a due anni" - e che sarà approvato un disegno di legge per vietare agli under 18 di accedere ai siti a luci rosse. Ciò che è emerso a Caivano è la cartina di torna sole della cosiddetta illegalità di sussistenza. Ovvero quell’humus composto da migliaia di masse popolari condannate al degrado e alla povertà resa irreversibile dalle politiche neoliberiste che da anni si susseguono. E non riguarda solo Caivano, ma anche le periferie di Palermo, Roma, Milano e tante altre città d’Italia. Si tratta di persone – a volte interi nuclei familiari – che vivono sotto la soglia di povertà, in situazioni di forte disagio abitativo, in aree con una galoppante dispersione scolastica e fiumi di droga che invadono interi quartieri come fosse una pandemia. Persone, appunto - non numeri -, spesso costrette a usare l'illegalità come mezzo per mettere insieme il pranzo con la cena.

E fino a quando lo Stato non investirà nel tessuto sociale e nelle periferie stesse per invertire l’andamento della criminalità di sussistenza, operazioni “di bonifica” per “ripristinare legalità e sicurezza” e “far sentire forte la presenza dello Stato ai cittadini” – come la premier ha ribattezzato il maxi-blitz di Caivano – non saranno una vittoria. Bisogna, piuttosto iniziare a parlare di sconfitta perché la repressione senza prevenzione ha sempre il retrogusto della vendetta e del classismo. Un fallimento, cioè, per l’intero Paese.

Siamo uno Stato la cui classe dirigente ha scelto di essere cobeliggerante in Ucraina contro la Russia senza accorgersi, però, che la guerra è prima di tutto in casa. È nel carrello della spesa che attanaglia i portafogli; negli zaini degli studenti che come "spade di Damocle" gravano sulla precarietà di molti genitori; è sul lavoro precario e le innumerevoli morti sul lavoro a cui bisogna dire BASTA con i fatti e non a parole; la guerra è nei femminicidi che sono un fatto sistemico e non occasionale; dietro ogni tipo di violenza, a partire da quella omobilesbotransfobica; la guerra è nelle piazze di spaccio di ogni città, da nord a sud, che causano la morte come quella del giovane Giulio Zavatteri; la guerra è nelle basi Nato che occupano il territorio italiano in nome di accordi oltremodo obsoleti che, oggi più che mai – alla vigilia di un potenziale conflitto mondiale nucleare – andrebbero quanto meno revisionati; infine, la guerra è dentro il Parlamento con i continui tentativi di revisionismo storico del Ventennio fascista e degli anni della strategia della tensione.

La irresponsabilità politica e il declino dell’etica sono alcune delle ragioni del fallimento della classe dirigente. La nostra Repubblica, giorno dopo giorno, è sempre più inghiottita all’interno di una vorticosa crisi politico-istituzionale senza precedenti. Siamo dinnanzi al referto clinico della dissoluzione dello Stato democratico di diritto e della sua balcanizzazione. Quella che stiamo vivendo è la cronistoria del declino di un grande Paese e della sua regressione verso la modernità. È il ritratto di Dorian Gray di una delle classi dirigenti più rapaci della storia europea, i cui effetti catastrofici hanno già infettato ogni ambiente sociale del Paese con metodo pandemico.

Avrei potuto - e forse dovuto - parlare di legalità e raccontare cosa Our Voice e il "Coordinamento 19 luglio" sta realizzando qui a Palermo e i progetti futuri. Avrei potuto raccontarvi di inchieste, processi, manifestazioni. Avrei potuto parlarvi della relazione semestrale pubblicata qualche giorno fa dalla Direzione Investigativa Antimafia e di come sottolinea che "la penetrazione delle organizzazioni criminali nei gangli dell’economia, i loro rapporti con settori inquinati della politica o esponenti infedeli della pubblica amministrazione”, costituiscano ancora oggi il punto di forza delle mafie. Ma per questo possiamo, anzi, dobbiamo farlo con più tempo e calma; affinché le parole non restino tali. Perché non sarà uno slogan a impedire uno sfratto, così come non restituirà la dignità alle persone e non sconfiggerà le mafie e le sue cointeressenze politiche.

Infine, avrei potuto – e forse dovuto – parlare più nello specifico dell'antimafia intersezionale e di come quest’ultima abbraccia le altre lotte esistenti. Ovvero che la lotta alla mafia si fa prima di tutto dando diritti, costruendo un mondo più giusto e meno diseguale, dando alternative al welfare criminale e non recludendola ad una semplice repressione dello Stato. Si fa raccontando i rapporti che ci sono stati nel corso della storia della nostra Repubblica tra gruppi neo-fascisti e mafia, per esempio; si fa percorrendo il solco già tracciato dai migliori esempi del movimento antimafia, da Pio La Torre a Peppino Impastato: dicendo NO alla guerra, perché la guerra è un business per le mafie, nelle mani di faccendieri, generali, politici e mafiosi, che in nome della pace stanno portando il mondo alla distruzione; si fa, inoltre, opponendoci all’invio delle armi e alla militarizzazione del Mediterraneo e dei nostri territori.

Avrei potuto, ma ho preferito, - e spero mi perdonerete - lanciare un messaggio, un grido di allarme, un appello a nome della mia generazione e di quelle più giovani: “Noi non abbiamo più un futuro, e se non invertiamo la rotta non avremo neppure un presente”.

A noi cittadini e cittadine spetta un importante ruolo di supplenza civile e di vigilanza democratica. Supplenza civile nel ricostruire con meticolosa pazienza la memoria di fatti storici che sono oscurati o distorti dall’informazione mainstream e dagli apparati culturali di regime. Vigilanza democratica, nei confronti di un potere ogni giorno più arrogante che alimenta la pratica dell'omertà di massa e riduce al silenzio chiunque rifiuti di allinearsi.

Il giovane Mauro Rostagno, che fra pochi giorni commemoreremo, soleva ripetere: "Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto".

Grazie a tutte e tutti!

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