Le dichiarazioni arrivano quasi un anno dopo la decisione di desecretare parte dei documenti sull’omicidio avvenuto a Dallas
Nonostante siano passati 60 anni, l’omicidio del 35° presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, continua a far discutere, mentre non sembrano diminuire i dubbi e le varie teorie che, nel corso degli anni, hanno sempre sostenuto che potrebbero essere stati più tiratori a uccidere Kennedy il 22 novembre del 1963. Oggi, anche Paul Landis, l’ex agente dei servizi segreti che quel giorno ha seguito Kennedy dal predellino della Cadillac presente al corteo, ha messo in dubbio la teoria ufficiale ottenuta con la commissione Warren, le cui indagini hanno stabilito che ad uccidere JFK è stato un unico cecchino: Lee Harvey Oswald. Secondo la commissione, infatti, Oswald avrebbe esploso due colpi contro il corteo presidenziale, provocando, oltre alla morte di Kennedy, anche il ferimento del governatore del Texas, John Connally. Per la Warren, il primo proiettile ha attraversato la gola di Kennedy; successivamente, ha trapassato una spalla, il petto e un polso del governatore Connally fermandosi su una coscia. Per questo motivo, in molti, parlando di ‘proiettile magico’, hanno sempre sostenuto che durante l’attentato ci sia stata una seconda persona a sparare da un’altra direzione. Il ricordo che l’ex agente dei servizi segreti americani ha rilasciato pochi giorni fa durante un’intervista con il “New York Times” sembra avvalorare la teoria che vedrebbe la presenza di un altro tiratore durante l’omicidio avvenuto nel ‘63 a Dallas. Landis, autore tra l’altro del libro “Il testimone finale”, che verrà pubblicato negli Stati Uniti il prossimo 10 ottobre, ha dichiarato che quel giorno ha sentito l’esplosione di tre colpi, non due. Inoltre, Landis ha rivelato di essere stato lui a raccogliere il cosiddetto ‘proiettile magico’ dal sedile dell’auto presidenziale e di averlo deposto successivamente sulla barella dove si trovava il corpo di Kennedy, per evitare che venisse rubato da qualche cercatore di souvenir macabri. Nel caso in cui le parole di Landis dovessero trovare riscontro con la realtà, le sue affermazioni potrebbero stravolgere la verità stabilita dalla commissione che nel ‘63 ha indagato sull’assassino di Kennedy. Difatti, la Warren ha stabilito che la pallottola è stata trovata sulla barella di Connally e non di Kennedy; per questo motivo i periti ritennero che quella pallottola fosse la causa delle ferite del governatore. Tuttavia, l’attuale testimonianza dell’ex agente dei servizi americani, rilasciata quasi un anno dopo la decisione dell’attuale presidente americano, Joe Biden, di togliere il segreto su una parte dei documenti relativi alla morte di Kennedy, sembra cozzare con la testimonianza che lui stesso ha reso dopo l’attentato. Landis, infatti, subito dopo l’assassinio di JFK, ha raccontato di aver sentito solo due colpi e non tre. Inoltre, non ha mai raccontato la storia della pallottola rimossa dall’auto sulla quale viaggiava Kennedy e disse che nella “trauma room”, nella quale giaceva il corpo senza vita di JFK, entrò solo Jackie Kennedy, mentre lui rimase fuori. Nel caso in cui fosse vero - come ha fatto notare anche “Il Corriere della Sera” - non avrebbe potuto depositare la pallottola sulla barella. Paul Landis, oggi 88enne, si è giustificato ribadendo che a seguito dell’attentato era sconvolto, una condizione che non gli ha permesso di dormire per cinque notti consecutive e gli ha generato parecchia confusione, ricostruendo per questo gli avvenimenti in modo superficiale ed impreciso. Riguardo al suo mancato intervento per correggere la commissione Warren, Landis ha ribadito che gli investigatori non lo hanno mai chiamato a testimoniare e non ha mai letto il rapporto conclusivo delle indagini perché, nel frattempo, si era dimesso dai servizi di sicurezza americani. Negli anni successivi, non ha mai voluto raccontare questi avvenimenti per la paura di esporsi, dal momento che lo avrebbero accusato di aver rimosso elementi essenziali dalla scena del crimine. Insomma, la storia raccontata oggi dall’ex agente dei servizi segreti presente durante l’omicidio di JFK sembra presentare diverse zone d’ombra. Speriamo che un giorno si possa fare finalmente chiarezza su una vicenda che potrebbe aver condizionato le sorti degli Stati Uniti e non solo.
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