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Le recenti indagini mostrano la corsa al riarmo delle organizzazioni mafiose

Mentre da un lato il Governo Meloni si prepara a inviare il settimo pacchetto di aiuti militari all'Ucraina, dall’altro, invece, pare sia paralizzato e inerme. Stiamo parlando della guerra contro un invasore “interno”, come la mafia, che sta correndo al riarmo. Preoccupa, infatti, la poca attenzione e rilevanza che le alte cariche dello Stato hanno riservato all’operazione coordinata nei giorni scorsi dalla Dda di Milano in cui i Carabinieri di Monza hanno sgominato un'associazione per delinquere finalizzata al traffico nazionale ed internazionale di sostanze stupefacenti e armi, riciclaggio e autoriciclaggio. Tra queste fattispecie di reati, ad allarmare è il traffico di armi.
Si tratta di armi da fuoco comuni, ma anche armi da guerra. E quindi: mitragliette UZI, fucili da assalto AK47, Colt M16, pistole Glock e Beretta, ma anche bazooka e bombe a mano MK2 "ananas”. “Gli indagati acquistavano le armi da un fornitore monzese, condannato all’ergastolo per omicidio aggravato ed associazione mafiosa, ma beneficiante di periodici permessi premio durante i quali sviluppa le intermediazioni per le armi”, hanno detto i Carabinieri. Certo è che l’arsenale sequestrato proveniva, financo era destinato, dal mercato nero. Ed ecco la domanda: e se fossero armi legate alle forniture destinate all’Ucraina? Certo, andrebbe allargato il campo facendo un’analisi più ampia. Non dimentichiamo, però, quanto rivelò lo scorso anno una fonte dell’Arma al Fatto Quotidiano.


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Ovvero, che se finora sarebbero decine di migliaia le armi sequestrate provenienti dai Balcani (ex Jugoslavia e Albania), dal Medio Oriente e dai Paesi dell’ex blocco sovietico, adesso l’attenzione è rivolta al conflitto russo-ucraino. Una pericolosa via d’accesso che getta le basi per la creazione di un fiorente mercato delle armi clandestino: fucili d’assalto, kalashnikov, mitragliatrici, esplosivi e pistole di ogni calibro. Le stesse che sono state rinvenute nella scorsa operazione della Dda di Milano.
Già nel 2016 l'emittente britannica Sky News aveva sottolineato come il prezzo di un AK-47 si aggirava attorno ai 1.700 euro, mentre l’Aks-74u, la versione più moderna, si poteva trovare anche a poco più di 500 euro. Lanciagranate e pistole viaggiano a prezzi anche più abbordabili (una ventina di euro l’una). Tutti “prodotti”, che la mafia ucraino-romena presente in quell’area già vende anche ai clan italiani, avendo sviluppato ultimamente diverse piattaforme sul deep web. Sull’argomento si è espresso più volte anche il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. La scorsa settimana, intervenendo a Trame Festival, ha ribadito quanto ha dichiarato più volte in televisione come nei giornali, vale a dire il pericolo che queste armi finiscano nelle mani sbagliate una volta che questa guerra sarà finita.
Quando ero sostituto procuratore a Reggio Calabria e mi occupavo della 'Ndrangheta sulla fascia ionica. Diverse indagini ci hanno portato in Montenegro dove la ‘Ndrangheta andava a fare shopping di armi ed esplosivo al C4. Ricordo che erano prezzi veramente bassi. Nella testa di ogni famiglia c’era l’idea che la guerra sarebbe ritornata. Sotterravano le armi e in tempi di fame le hanno vendute per poter mangiare”, ha rammentato Gratteri. “Questa situazione che si verificò con la guerra in Bosnia si potrebbe verificare con la guerra in Ucraina”.


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Nicola Gratteri © Imagoeconomica


Noi - ha ricordato ancora il procuratore - avevamo fatto indagini e avevamo scoperto che la Sacra Corona Unita prendeva armi in ex Jugoslavia e le barattava con la cocaina. Anche questa cosa potrebbe accadere in Ucraina”. “È mai possibile che non si possano tracciare queste armi? - si è domandato - Per vedere se queste armi vengono utilizzate. Noi dobbiamo pensar anche al dopo. Chi fa politica deve avere una visione del mondo non deve pensare dall’oggi al domani, deve porsi il problema della fine della guerra”, ha affermato. “Tutti si stanno preoccupando di mettere il cappello sulla sedia sulla ricostruzione dell’Ucraina quando ancora non sappiamo come e se finirà questa guerra. Si sta facendo un salto logico. Noi dobbiamo preoccuparci se queste armi saranno poi vendute alle mafie visto che le mafie italiane e sudamericane sono in contatto con le mafie dell’est europeo”, aveva detto a Lamezia Terme.
Consapevole di tutto ciò, il Governo - anziché inviare l’ennesimo pacchetto di rifornimenti tattico-militari - dovrebbe innanzitutto desegretare gli atti inerenti all’invio di armi in Ucraina, e poi istituire una commissione ad hoc per verificare se, e come, alcune armi destinate a Kiev finiscano in realtà nelle mani delle organizzazioni mafiose.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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