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A Montecitorio passa il decreto "Pa" con l’emendamento-bavaglio blindato dall'esecutivo. Ignorati gli allarmi dei magistrati. Melillo attaccato da Gasparri

Niente da fare. Alla fine, con 203 voti a favore, 34 contrari e tre astenuti, la Camera ha approvato la fiducia al governo sul DL riguardo al rafforzamento della Pubblica amministrazione, contenente, tra le altre cose, un emendamento che limita i poteri di vigilanza della Corte dei conti sull’attuazione del Pnrr. Totalmente snobbate le voci di dissenso dell’opposizione e gli allarmi lanciati a più riprese dai magistrati che hanno segnalato come in questo modo si favoriscono gli appetiti di mafie e cravattari ingordi. Il testo approvato, infatti, prevede l’abolizione del “controllo concomitante” sulla spesa dei fondi del Piano (uno strumento attivabile “in itinere” su richiesta delle Commissioni parlamentari) e la proroga fino a giugno 2024 dello “scudo erariale” che limita la responsabilità contabile da condotte attive ai soli casi di dolo. L’iniziativa del governo è arrivata dopo settimane di crescenti tensioni con la Corte dei conti, scoppiate all’inizio di maggio, quando la sezione di controllo concomitante aveva certificato il “ritardo ormai consolidato”nell’aggiudicazione di alcuni appalti. Le norme sono state criticate dalle opposizioni, dalla magistratura contabile e dalla Commissione europea, che venerdì scorso ha avvertito che l’attuazione del Piano richiede “un sistema di controlli efficace”. I magistrati della Corte dei conti si erano riuniti lunedì in assemblea straordinaria per discutere dell’emendamento del governo al decreto Pa che limita i loro poteri di vigilanza sull’attuazione del Pnrr. Il vertice delle toghe era stato convocato nel weekend dall’Associazione dei magistrati contabili, in seguito a pressanti richieste degli iscritti.
Al termine del vertice, il sindacato delle toghe ha emesso una nota in cui ha ribadito “la netta contrarietà alle due norme che sottraggono al controllo concomitante della Corte dei conti i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prorogano l’esclusione della responsabilità amministrativa per condotte commissive gravemente colpose, tenute da soggetti sia pubblici che privati, riducendo di fatto la tutela della finanza pubblica. Non sono in gioco le funzioni della magistratura contabile, ma la tutela dei cittadini”, notano i magistrati. Che sottolineano come “la conferma dello scudo erariale, in assenza del contesto di emergenza pandemica nel quale è nato” (era stato introdotto dal decreto Semplificazioni del 2020, ndr), impedisca “di perseguire i responsabili e di recuperare le risorse distratte, facendo sì che il danno resti a carico della collettività. Al contempo, l’abolizione di controlli in itinere, su attività specificamente volte al rilancio dell’economia, significa indebolire i presidi di legalità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa. L’Associazione, con gli strumenti che ha a disposizione, continuerà a svolgere le sue funzioni a difesa dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura contabile”.


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Nei giorni scorsi l’Associazione si era già espressa con un comunicato in cui manifestava “preoccupazione” per le proposte del governo, che - scriveva - “qualora venissero approvate in via definitiva dal Parlamento, metterebbero a rischio il sistema di tutele poste a presidio della sana e corretta gestione delle risorse pubbliche”. L’Associazione si auspica che il dovuto approfondimento in sede parlamentare avrebbe condotto al ritiro delle stesse. Ma così non è stato. La Camera ha approvato il “bavaglio” - come l’ha definito il dem Federico Fornaro - del governo alla Corte dei Conti.
Venerdì sul tema è arrivato anche l’allarme della Commissione europea: “Noi abbiamo un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficace ed è responsabilità delle autorità italiane che questi enti siano in grado di lavorare”, ha avvertito un portavoce di Bruxelles, spiegando che il contenuto dell’emendamento sarà monitorato “con grande attenzione”. Il governo di Roma ha risposto dopo qualche ora con una nota, criticando le considerazioni della Commissione, che “alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà”. Anche il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, in un’ampia intervista uscita domenica su La Stampa, ha sottolineato che i controlli sul Pnrr “sono parte essenziale dei processi di spesa pubblica”. Il Paese, ha affermato il procuratore, “ha certo il dovere di impiegare al più presto quelle risorse, ma anche di farlo bene, evitando che esse si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione ovvero finiscano nelle mani della criminalità mafiosa”. Per questa posizione, largamente condivisa anche in sedi come l’ANM. Immediato la reazione allergica di membri della maggioranza di governo contro Melillo. Anche da cariche elevate come il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri che, invece di prestare attenzione al parere del capo della procura Nazionale Antimafia in un tema delicato come quello dei controlli sulla gestione del Pnrr, inveisce, da Berlusconiano qual è, accusando il magistrato di essere politicizzato.
La Procura Nazionale Antimafia si rivela una fucina di futuri esponenti politici della sinistra - ha attaccato Gasparri - già ce ne sono stati tre, Grasso, Roberti e Cafiero de Raho. Melillo vuole essere il quarto?”. Parole contestate dalle opposizioni: “Invece di puntare il dito contro chi ha contrastato per una vita intera la mafia, Gasparri farebbe bene a preoccuparsi del suo governo che di fatto sta bloccando lo sviluppo del nostro Paese perché incapace di spendere i fondi del Pnrr”, gli ha risposto Ada Lopreiato, capogruppo M5S in commissione Giustizia al Senato.

Foto © Imagoeconomica

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