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Ospite a “Dark Side”, assieme a Giannantoni e Carbone, il magistrato ricostruisce la presenza delle donne nelle stragi

Del biennio stragista 1992-1994, nonostante numerose inchieste abbiano ricostruito gran parte della verità storica e di quella giuridica, ancora non sappiamo tutto. Resistono, infatti, incognite sui mandanti esterni e sulle cointeressenze che si sono mosse dietro Cosa nostra e che hanno usato quest’ultima come strumento con cui mettere in ginocchio il Paese. Inoltre, restano ancora ombre, dubbi e domande sulla presenza e il ruolo di alcune figure femminili dietro le stragi. Donne che, con molta probabilità, non appartenevano alle organizzazioni mafiose, ma che, nonostante ciò, hanno avuto un ruolo all’interno di un progetto eversivo come le stragi. Donne “esterne” che rappresentano un’anomalia per la storia della mafia. Eppure, nel corso del tempo, processi e testimonianze hanno fatto emergere indizi che fotografano ombre femminili nel cratere di Capaci (’92) e le macerie dell’accademia dei Georgofili (’93).
Ed è stato questo il focus del convegno organizzato da “Dark Side – Storia Segreta d’Italia” lo scorso venerdì 26 maggio a Vasanello, provincia di Viterbo, in occasione del trentennale delle stragi “del continente” di Roma, Firenze e Milano. Una conferenza - mandata in onda ieri sul loro canale YouTube - in cui il magistrato Gianfranco Donadio, il giornalista Massimiliano Giannantoni e il criminologo Federico Carbone hanno fatto uno spaccato sulle “donne delle stragi”.
In quegli anni non vi fu un attacco mafioso allo Stato - ha detto Donadio -. Cosa nostra negli anni ’90 non ebbe una strategia terroristica. Caso mai gli venne suggerita o addirittura imposta, approfittando del conto che la mafia aveva da regolare con qualche soggetto come Falcone”. “Nel lavoro di ricerca che ho fatto con Federico Carbone ci siamo resi conto che le donne erano più di una – ha detto Giannantoni -. Cercavamo la donna che lasciò il suo DNA su un paio di guanti di lattice a pochi metri dal cratere di Capaci; cercavamo la donna vista in via Fauro prima dell’esplosione (luogo dell’attentato ai danni di Maurizio Costanzo il 14 maggio ’93, ndr); cercavamo la donna in via dei Georgofili e quella vista in via Palestro. E ci siamo resi conto che c’era stata una linea di indagine che ne aveva coinvolte diverse. E addirittura c’erano delle donne militari facenti capo al Sismi che erano delle addestratrici di Gladio. Ed è proprio dal mondo di Gladio che arrivano molte di queste donne”. “Gladio, è bene ricordarlo, è una creatura della Nato - ha ricordato Federico Carbone -. E in quanto tale va a collocare all’interno delle vicende nostrane gli interessi anche di altri Paesi. Questo diventa un tema molto scomodo da affrontare”. E da qui la presenza e l’operatività all’interno degli attentati di “strutture esterne che in qualche modo possono con la loro opera possono aver favorito” la messa in opera della strategia stragista.
Quanto all’impiego di donne in questo progetto “è un elemento che allontana dall’operatività di Cosa nostra - ha continuato il criminologo -. Non rientra nel modus operandi. Collocare la presenza di una donna in quegli scenari dimostra l’impiego di entità esterne”.
A 30 anni di distanza, su questi fatti, è necessario accendere un faro e continuare ad indagare perché la presenza di donne dietro le stragi è frequente, così come il ruolo di strutture come Gladio è più che evidente e che, infine, il 1993 è un anno oltre modo singolare.

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