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Intervista ad Alfio Mannino, Segr. Gen. CGIL Sicilia

“Siamo di fronte ad uno sgretolamento del tessuto sociale, ad un imbarbarimento delle relazioni umane. Così si mette a rischio anche la tenuta della democrazia…”. Era il 2021 ed il Segretario Generale della CGIL Maurizio Landini pronunciava queste parole: a distanza di due anni, e con un cambio di Governo, quello che si prospetta all’orizzonte non è uno scenario che sembra invertire la rotta. Perchè in Italia si fa sempre fatica a parlare di lavoro? A proporre politiche riformiste e all’avanguardia rispetto al tema. Ne parliamo con Alfio Mannino (in foto), che guida la CGIL siciliana.

Segretario, in questo Paese ci sono segnali chiari (ed inquietanti) di uno scollamento tra cittadini e partecipazione alla vita democratica. Il dato, in crescita, dell’astensionismo elettorale, ne rappresenta il paradigma. Crede che la mancanza di politiche vere e profonde del mondo del lavoro da parte di qualsiasi Esecutivo si sia avvicendato negli ultimi decenni, ne sia in qualche modo anche la causa?
Quella che stiamo attraversando è una crisi sociale profonda. Vi è una forte precarizzazione del mondo del lavoro che si riversa più in generale sul terreno della coesione sociale. Interi segmenti della popolazione vivono una condizione economica assai difficile, quindi non c’è dubbio che tutti questi elementi concorrono nel creare un sentimento di sfiducia, di rabbia e rassegnazione soprattutto nei soggetti più deboli. La relazione con l’astensionismo è forte, perché oggi si ha la percezione diffusa che i processi democratici non sono più una risposta a quella voglia di cambiamento e innovazione di cui si avverte la necessità. La politica non è riuscita purtroppo a parlare ai soggetti più deboli ma ha, in maniera strumentale chiaramente, parlato a blocchi sociali di riferimento che però non sono quelli che vivono una condizione di difficoltà. Oggi il lavoro non è più al centro dell’agenda politica del Paese: nel 1970 lo Statuto dei lavoratori fu approvato con una  larghissima ed ampia maggioranza, oggi invece il tema dello statuto dei lavoratori non solo viene messo in discussione e aggredito ma non c’è nessun partito che faccia della dignità e della qualità del lavoro e del contrasto alle diseguaglianze l’elemento cardine su cui costruire una proposta politica e di governo. Negli ultimi venti anni la condizione salariale è divenuta sempre più difficile e complicata, non si ha più un orizzonte pensionistico come quello di diversi decenni fa, la precarietà del lavoro è grande, i diritti sociali e di cittadinanza stanno conoscendo una grossa crisi, il diritto alla salute è sempre più minacciato, il diritto all’istruzione in crisi ha bloccato quell’ascensore sociale che in passato ha consentito a intere generazioni di investire sull’istruzione dei propri figli: è chiaro dunque che in questo contesto i sentimenti di rabbia e rassegnazione sfociano inevitabilmente nella scarsa partecipazione democratica attraverso il voto.

In questo scenario, dunque,  qual’è la situazione di una  Sicilia che per motivi storico-culturali ed economici  già vive il peso di un gap col resto d’Italia.
Se già il Paese si trova nella situazione di cui abbiamo parlato è chiaro che la Sicilia a maggior ragione vive questa condizione. In Sicilia, rispetto al dato nazionale, vi è uno scarto salariale e occupazionale di circa il 15% in meno. Un dato per tutti: ogni anno 20.000 ragazze e ragazzi siciliani vanno via da questa terra! Ma non vanno però via solo perché provano a formare altrove una famiglia ed un futuro. Non hanno neanche più l’idea di tornare in Sicilia; tutto questo sta determinando una condizione in cui le intelligenze migliori si perdono  dando spazio ad una desertificazione sociale ma anche culturale. Abbiamo in Sicilia interi territori, per esempio le aree interne, che vivono drammaticamente il fenomeno dello spopolamento dettato dalla carenza di servizi, di difficoltà economica e altro. In Sicilia, dunque, servirebbe un salto di qualità, un investimento maggiore da parte delle politiche pubbliche per rilanciare il nostro tessuto economico, sociale e produttivo.

Lotta alla mafia. Tema su cui a tratti sembra calare una coltre di oblio da parte della politica e degli organi di informazione. Il recente anniversario della strage di Capaci ha destato attriti e dissensi soprattutto dopo l’episodio della carica della polizia al corteo  di studenti e movimenti  a cui ha aderito anche la Cgil, corteo che rivendicava la legittima idea di avere una classe politica libera da contiguità con ambienti criminali, almeno al di sopra di ogni sospetto. Insomma, in Sicilia, più che altrove Segretario, c’è una questione morale in politica?
Quello che è accaduto il 23 maggio a Palermo ha segnato un spartiacque: mai nella storia di questo nostro Paese  si era assistito al fatto che una manifestazione antimafia venisse repressa, o semplicemente limitata, e questo rappresenta un fatto gravissimo e inaccettabile. La memoria delle vittime di mafia non può appartenere ad una parte politica. Dentro quella piattaforma che sfilava pacificamente il 23 maggio si evidenziava il fatto che oggi rispetto al fenomeno mafioso non basta più e soltanto la commemorazione ma occorre fare un passo avanti, e grande. In Sicilia, purtroppo, il contrasto alla mafia, che passa anche dalla questione morale in politica, non è centrale nel dibattitto a tutti i livelli. Il movimento antimafia ha subito delle battute di arresto, alcuni fenomeni di strumentalizzazione nella lotta alla mafia, la mitizzazione di alcune personalità, hanno indubbiamente indebolito complessivamente quel movimento.
Oggi però c’è la necessità di alzare complessivamente il livello di contrasto alla criminalità organizzata: ampi settori dell’economia sono sempre più permeati dalla mafia,  istituzioni locali che non hanno grandi mezzi per resistere alle infiltrazioni criminali se non addirittura, in alcuni casi, esse stesse rappresentano il potere criminale. Rimanendo sul tema della politica, è a dir poco inquietante che soggetti che si, hanno anche e giustamente pagato il conto con la giustizia, comunque ancora oggi determinano in maniera più o meno diretta , condizionandole, le politiche locali e anche regionali: com’è possibile tutto questo? E’ possibile perché c’è stata una politica compiacente e collusa con questo sistema e il fatto che in questi anni non sia, di contro, cresciuta una cultura politica antimafia che diventasse egemone, ha lasciato spazio al ritorno di personaggi che invece con la mafia hanno costruito rapporti e  alleanze.
Occorre far crescere un nuovo e moderno movimento antimafia, partendo dal contrasto agli interessi criminali che si stanno muovendo sul territorio, per esempio la filiera di appalti e subappalti,  provare a costruire un percorso di controllo sociale in tanti settori dell’economia come i rifiuti, la transizione energetica, o l’agricoltura con un nuovo e rinverdito interesse della mafia con il controllo dei mercati ortofrutticoli e della distribuzione. Il fatto, poi,  che il mercato della droga si stia rilanciando sta garantendo alle mafie una quantità enorme di liquidità che gli permetterà di aggredire interi pezzi dell’economia sana di quest’Isola.
Quello che serve, in ultimo, è una sempre più forte connessione tra questo rinnovato movimento antimafia e le Istituzioni, a partire dalle Prefetture, dalle Forze dell’Ordine, dalla Magistratura per provare a costruire un argine ed una risposta economica sociale, ma soprattutto culturale cominciando dal mondo dell’Istruzione. 

Foto © Imagoeconomica

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