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Gentile Dottore Grasso,
Le scrivo come studentessa di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e come componente del Movimento Our Voice, che è stato uno dei promotori del corteo del 23 maggio “Non siete Stato voi, ma siete stati voi”.
Le scrivo perché lei, nel pomeriggio del 23 maggio, si trovava sul palco situato sotto l’Albero Falcone, accanto a Maria Falcone e al sindaco Roberto Lagalla (appoggiato da uomini condannati per mafia, Dell’Utri e Totò Cuffaro), leggendo i nomi delle vittime di mafia, cui sono seguiti applausi emozionanti.
Io sono una delle centinaia di studentesse a cui è stato impedito di arrivare all’Albero Falcone per commemorare i nostri martiri. Ho ricevuto spintoni violenti dalla polizia, nonostante fossi ferma e totalmente inerme. Rispetto a tanti altri miei compagni sono stata fortunata, perché un amico mi ha salvato da un manganello che mi stava per spaccare la faccia.
Sono addolorata, indignata e arrabbiata, perché all’interno del corteo c’erano minorenni, tantissimi minorenni delle scuole; c’erano famiglie, bambini, persone in sedia a rotelle, semplici cittadini
Abbiamo referti documentati di fratture e foto delle ferite riportate da molte persone; abbiamo video e foto di ogni abuso di potere. Fatti non riportati dal comunicato divulgato dalla Questura. Siamo pronti a portare tutto questo materiale davanti ad un’aula di Tribunale.
Non voglio mettere in dubbio né il fatto che lei possa non essersi reso conto di ciò che stava accadendo a qualche decina di metri dal palco; né voglio mettere in dubbio la sua volontà di non schierarsi apertamente contro le manganellate subite da noi studenti.
Ma le dico la verità: dopo aver assistito ad alcuni seminari che lei ha svolto all’interno della facoltà di Giurisprudenza, parlandoci della lotta alla mafia, del maxiprocesso e di molto altro, mi sarei aspettata una sua presa di posizione immediata, netta e forte. Cosa che mi dispiace molto non ci sia stata e a cui spero rimedierà subito.
La repressione della libertà di manifestazione del pensiero, protetta dall’articolo 21 della Costituzione, dovrebbe avvenire solo nelle peggiori dittature ed è la prima garanzia democratica che insegnano in un corso di Diritto costituzionale di giurisprudenza.
Inoltre, mi ricordo quando fu lei a dire che era d’accordo con gli studenti che denunciavano la retorica e le passerelle nel corteo del 23 maggio che si svolse l'anno scorso, durante il trentennale (manifestazione che arrivò, quella volta sì, senza ordinanze dell’ultimo minuto e senza nessun ostacolo, all’altezza di Via Giacomo Leopardi, qualche decina di metri prima dell’Albero Falcone). Un corteo che si era svolto in piena campagna elettorale e che contestava non solo i Lagalla, Dell’Utri e Cuffaro di turno, ma anche le complicità istituzionali e politiche sulle stragi e che chiedeva verità e giustizia. In quei giorni, alla domanda di uno dei redattori di ANTIMAFIADuemila, rispose: “È bene che le istituzioni abbiano un pungolo e questi studenti fanno bene perché vuol dire che questa città non è rassegnata, non è indifferente. Questa voce dei giovani mi fa piacere che ci sia e mi da speranza per il futuro”. Eravamo sempre noi, sia anno scorso e sia quest’anno. Cosa è cambiato?
Come giovani vorremmo essere un pungolo per le istituzioni, sì, ma anche uno sbarramento trasparente ed incorruttibile ad ogni tipo di compromesso morale e politico. Spero che questa lettera possa ricevere una sua risposta, Dottore Grasso. Perché se è vero che noi giovani le diamo speranza per il futuro, allora ci deve essere permesso di costruire un presente diverso e lontano da ogni forma di vicinanza con personaggi appoggiati da uomini condannati per mafia. Proprio quei personaggi che erano sul palco assieme a lei, mentre ci manganellavano, nonostante continuassimo a gridare il nome di “Falcone”.

Foto © Paolo Bassani

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