A “Casa Felicia” l’incontro con Luisa Impastato, Giuseppe Cimarosa, Chiara Corrao e Our Voice. Contributo video dall’Honduras della figlia di Berta Cáceres
Eredità, scelte e impegno. Sono questi i tre temi sui quali si è dibattuto domenica pomeriggio a Cinisi, presso “Casa Felicia”, nella tre giorni di eventi organizzati dai familiari di Peppino Impastato in occasione del 45esimo anniversario del suo assassinio. Nel casolare di contrada “Piano Napoli”, che dopo un lungo e duro tan tan giudiziario con Leonardo Badalamenti (figlio del capo mafia deceduto Gaetano Badalamenti, mandante dell’omicidio di Peppino) ora è gestito dall’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, si è tenuto un incontro di giovani eredi, fisicamente o spiritualmente, delle lotte di uomini e donne che hanno combattuto contro la mafia. Lotte che questi giovani hanno deciso di abbracciare e continuare. A parlare, infatti, sono stati Luisa Impastato, nipote di Peppino, Chiara Corrao, nipote di Rita Borsellino, Berta Zúñiga Cáceres, figlia della leader sociale Berta Cáceres, Giuseppe Cimarosa, attivista antimafia e Marta Capaccioni, attivista di Our Voice. “Attivismo e antimafia sociale delle nuove generazioni, tra nuovi linguaggi ed impegno giovanile intersezionale”, questo il titolo scelto per il dibattito. E’ stata Luisa Impastato a fare gli onori di casa aprendo l’incontro e rispondendo alle domande del redattore di ANTIMAFIADuemila Jamil El Sadi, moderatore dell’evento. “Casa Memoria è legata ad un’eredità. Questa è la casa dove ha vissuto Peppino e mia nonna Felicia. Rappresenta la loro eredità morale, un’eredità che abbiamo raccolto e che proviamo a portare avanti. L’eredità è al centro della nostra quotidianità”, ha affermato.
Luisa Impastato, nipote di Peppino
“Spesso ci si chiede se si erediti l’antimafia. Io credo che sia una scelta dal momento in cui si decide di accoglierla. La mia storia è una storia di scelte, la scelta di Peppino di stare dalla parte opposta rispetto alle sue origini, le scelte di mia nonna che non scelse di chiudersi nel silenzio della mafia e della sua famiglia mafiosa. E questa scelta ha portato i suoi frutti”. “La mia - ha spiegato - è stata una scelta ponderata e non semplice. Io non ho scelto di appartenere a questa famiglia, io dentro questa storia ci sono cresciuta. Ho visto lo scoramento da parte della mia famiglia nel momento in cui la verità sull’omicidio non era stata ancora raggiunta. Abbiamo raccolto i frutti di questo impegno quando la storia di Peppino è diventata una storia condivisa”, ha aggiunto Luisa Impastato. “La scelta di dare continuità a questa storia è sicuramente legata a mia nonna che è stata la prima custode della memoria di Peppino. Io non ho conosciuto Peppino perché sono nata 9 anni dopo l’assassinio ma mia nonna ha fatto sentire la sua presenza e lei è stata la persona che mi ha fatto sentire un grande senso di orgoglio”. “Se l’eredità di Peppino è stata così forte - ha aggiunto - è perché qualcuno ha continuato a trasmettere la sua memoria. La nostra - ha spiegato - è una storia di responsabilità che siamo portati a raccogliere. Una responsabilità che deve essere individuale ma soprattutto collettiva. Proprio per difendere ciò che abbiamo costruito in questi anni. Per quanto riguarda la mia persona io non sono Peppino e non sono Felicia, io sono Luisa e questa è la mia scelta, quella di dare continuità alla storia della mia famiglia e soprattutto di dare il mio personale contributo alla storia dei miei figli”.
La nipote di Borsellino
Come Luisa non ha conosciuto Peppino, anche Chiara Corrao non ha conosciuto Paolo Borsellino, quindi anche lei sente il peso di questa storia e questo dolore personale che è diventato indubbiamente una storia collettiva, un dolore pubblico. Le storie di Luisa e Chiara sono simili perché entrambe hanno conosciuto le figure dei loro zii soprattutto attraverso le parole di due donne, nello specifico di Felicia Impastato e di Rita Borsellino (sorella di Paolo e nonna di Chiara Corrao).
“Io non ho conosciuto zio Paolo, sono nata sei anni dopo e l’ho conosciuto grazie ai racconti di nonna Rita”. Tornando al tema dell'iniziativa Chiara Corrao pensa che ci sia “un legame inevitabile tra queste due parole: scelta ed eredità. Da quest’ultima possiamo scegliere se accoglierla o meno. Nonna ha scelto di ereditarla forse in modo un po’ forzato ma con tanto amore quando subito dopo quell’esplosione (l’attentato di via d’Amelio, ndr) sua mamma le disse prima di tutto di andare dalle famiglie dei ragazzi della scorta per ringraziarle del sacrificio dei loro cari che avevano scelto di proteggere fino all’ultimo respiro una persona che si sapeva in tutta Italia, non solo in Sicilia, la prossima da spuntare nella lista di Cosa nostra. Anche questa è stata una scelta in quel momento storico lì”, ha spiegato la nipote di Borsellino. Oggi la scelta di Chiara Corrao è di “appoggiare questa lotta cercando di rimanere Chiara, con le mie idee”.
Chiara Corrao, nipote di Rita Borsellino
Il coraggio di Giuseppe
Dopo Chiara Corrao, è stato il turno di Giuseppe Cimarosa, figlio del pentito Lorenzo Cimarosa e di Rosa Filardo, cugina di Matteo Messina Denaro. Anche la sua è una storia forte, anch’egli, proprio come Peppino, è figlio di una famiglia mafiosa ma la scelta di rompere con quel legame ingombrante e nefasto, ha precisato, “l’ha fatta mio padre, non io”. Anche se a portare Lorenzo Cimarosa a saltare il fosso e collaborare con la giustizia è stato proprio il figlio Giuseppe. “Io lo pressavo perché non mi sentivo orgoglioso di lui e non lo riconoscevo come padre”, ha raccontato. Questa indignazione nei confronti del padre mafioso venne alimentata dopo che conobbe la storia di Peppino Impastato grazie al film ‘I Cento Passi’”. “Quando conobbi questa storia rimasi folgorato, sentivo questo fuoco dentro. E sentivo di fare qualcosa per non restare travoltò io e la mia famiglia. Mi rendevo conto che non avrei mai potuto combattere la mafia però pensavo di poter salvare almeno quello che mi stava intorno. Quindi iniziai un lavoro di convincimento a casa, a tavola. Avevo scontri molto violenti con mio padre. Messina Denaro non poteva nemmeno essere nominato io invece dicevo che era un idiota”, ha ricordato. “Parliamo di gente che fa esplodere autostrade quindi c’era veramente grande panico a casa mia. Mia nonna mi diceva di tacere fuori casa. Dopo la collaborazione di mio padre (avvenuta a seguito dell’arresto nel 2013, ndr), mi è apparso agli occhi come un uomo per la prima volta. Ebbi l’opportunità di manifestarmi per come ero, una persona contro la mafia”. La scelta del padre di pentirsi e iniziare a collaborare con lo Stato fu una scelta importante ma anche “molto difficile”.
Giuseppe Cimarosa, figlio del pentito Lorenzo
“Successivamente alla collaborazione ci fu un problema di sicurezza per la mia famiglia perché mio padre fece condannare la sorella, il nipote, il cugino di Messina Denaro”. Lorenzo Cimarosa creò molti problemi alla famiglia di Messina Denaro “e per questo diventammo i primi bersagli di questo criminale”, ha raccontato. “Quando i magistrati ci chiesero di entrare nel programma di protezione mi rifiutai perché non volevo barattare la mia identità per una persona che non conoscevo nemmeno e non me ne volli andare da Castelvetrano perché se ne devono andare i mafiosi. Dal 2013 al 2023 sono ancora a Castelvetrano e I’ho fatto non perché sono un eroe ma perché è la mia vita. Mio padre è stato coinvolto in tutti i procedimenti contro il boss e mio padre è stato il principale accusatore. Quando hanno arrestato Messina Denaro non ci credevo ma mi ha scioccato di più il fatto che lui non è stato latitante, era più libero di me, era a due chilometri da casa mia. Io oggi sono propositivo e mi sento vincitore perché sono figlio della storia di Peppino ma io sono ancora vivo e vivo a Castelvetrano e Messina Denaro è in carcere”, ha concluso.
Il video messaggio di Bertita Zuniga Cáceres
Il messaggio di Bertita
Peppino ha formato e continua a formare ideologicamente più persone e non solo nella lotta contro la mafia. Una caratteristica della storia di Peppino è l’intersezionalità, la difesa di ogni diritto e questo rende la storia di Peppino ancora fortissima.
Durante l’incontro è stato infatti proiettato un video-messaggio di Bertita Zuniga Cáceres, coordinatrice del “Copinh” figlia di Berta Cáceres, attivista e ambientalista dell’Honduras uccisa dalla mafia del Paese il 3 marzo 2016. Bertita Cáceres ha voluto rendere omaggio al compagno Peppino Impastato e ha voluto condividere con il numeroso pubblico “l’eredità della compagna Berta Cáceres e del ‘Copinh’ che ha che vedere con la lotta in difesa delle comunità indigene Lenca, per i fiumi e i territori. Questa lotta - ha spiegato - va avanti da 30 anni, quest’anno compiamo trent’anni dalla fondazione del ‘Copinh’, negli ultimi sette anni abbiamo fatto molti sforzi non solo le rivendicazioni dei diritti fondamentali delle comunità indigene ma anche per la giustizia della nostra compagna Berta Cáceres che è stata assassinata come Peppino. Mia madre fu assassinata per difendere i fiumi e per mano di una struttura criminale che rimane impunita ancora oggi e che non è stata scardinata perché non esiste la volontà nel sistema della giustizia di farlo. Quindi questa lotta è ancora importante nella nostra realtà con la quale abbiamo evidenziato tutti i traffici internazionali che arrivano qua dall’Europa”, ha affermato. Quindi ha concluso salutando di nuovo il martire Peppino. “Salutiamo i nostri martiri delle nostre lotte e dei nostri processi di cambiamento”.
La portavoce di Our Voice, Marta Capaccioni
L’impegno di Our Voice
La storia di Peppino non solo è ricordata e riscattata ma è condivisa come punto di ispirazione per più generazioni. Ecco che anche “Our Voice”, collettivo internazionale di “artivisti” nato nelle Marche e con sede a Palermo e in alcune città del Sud America, è rimasto folgorato dalla storia di questo personaggio.
“Peppino impastato ci ha insegnato a riappropriarci dei nostri pensieri, delle nostre idee e dei territori dove viviamo”, ha affermato Marta Capaccioni.
“Noi siamo venuti a conoscenza di determinati fatti di questo paese molto in ritardo, nella mia scuola non hanno mai parlato di mafia e di antimafia, Sono venuto a conoscenza della mafia solo qualche anno fa. Questa storia appartiene anche a noi che veniamo da altre parti d’Italia”, ha esordito. “Quello che noi giovani proviamo molte volte è un senso di smarrimento, mancano punti di riferimento chiave”. Marta Capaccioni ha quindi parlato dell’antimafia di oggi, che ha perso un po’ il suo puro senso storico. “Questa parola, antimafia, è stata molto strumentalizzata da passerelle e commemorazioni vuote. E’ stata usata da persone che poi hanno avuto processi per mafia. Una cosa che mi ha colpito molto è la distinzione tra vittime di serie A e vittime di serie B. Del trentennale delle stragi del 92 c’è stato un tan-tan mediatico, mentre quest’anno che si ricordano i trent’anni delle stragi del 1993 non se ne parla. Noi parliamo con i ragazzi di riappropriarci della parola antimafia e di ricreare un movimento che ci appartenga e ci rappresenti. Quindi parliamo di un’antimafia quotidiana e non di bandiera”, ha affermato. Marta Capaccioni ha quindi spiegato che Our Voice porta avanti un’antimafia intersezionale, cioè un’antimafia che si colleghi ad altre lotte sociali.
“Noi abbiamo deciso di parlare di antimafia collegando tante realtà sociali e rivendicando i diritti sociali, l’antimafia antirazzista, anti fascista, transfemminista e ambientale. Una lotta antimafia - ha concluso - che parta dai nostri diritti fondamentali”.
Foto © Pietro Calligaris
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