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“La verità è rivoluzionaria. Aiuta a essere coraggiosi”

“Ma voi davvero credete che io non sappia che farò la fine di Kennedy?”. Così Aldo Moro aveva salutato gli studenti dell'aula di Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma nell’autunno del 1977, esprimendo già consapevolezza su quale sarebbe stato il suo destino.
La sua morte non è l’omicidio di una persona soltanto, ma di un’idea di Stato e di mondo più libero. Vi sono, in sintesi, due linee parallele che raccontano il delitto: la prima è quella delle versioni ufficiali, corta e semplice. Le Br sequestrano Moro in via Fani e lo uccidono. La seconda passa attraverso mille ricostruzioni giudiziarie, parlamentari, storiche e giornalistiche.
Inchieste che dai vertici della massoneria ci portano a strutture paramilitari come Stay Behind e Gladio, nate ufficialmente allo scopo di rispondere ad una possibile invasione nell'Europa occidentale da parte dell'Unione Sovietica, ma che all’effettivo sono risultate coinvolte in quelle stragi e delitti eccellenti che hanno cambiato il volto del nostro paese.
Un dedalo di dettagli, documenti segreti, complotti, misteri e bugie ricostruiti con dovizia tra gli atti delle commissioni Moro e P2.
“I Fratelli americani ci chiedono di interrompere il circuito politico voluto da Aldo Moro, perché se i comunisti italiani vanno al governo conosceranno i segreti della Nato... Anche i sovietici ci chiedono che i comunisti italiani non vadano al governo, perché sennò loro avranno difficoltà a dispiegare i carri armati di Budapest e di Praga”.
Questo avrebbe affermato il capo della loggia massonica P2, Licio Gelli a “villa Wanda” il 17 gennaio 1978 secondo il maggiore dell’Aeronautica Militare Umberto Nobili. Un incontro a cui erano presenti anche i generali comandanti dell’esercito, marina, carabinieri, finanza e polizia; tutti iscritti alla P2.
Stando agli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2 inoltre, durante un incontro con Gelli, questi gli disse che vi era un infiltrato dei carabinieri in un gruppo delle BR e che “tramite l'infiltrato si sarebbe venuti a sapere che il materiale scoperto dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa nel covo milanese di Via Montenevoso riguardante l'uccisione ed il sequestro di Moro, era stato asportato e coperto col segreto di Stato in quanto contenente cose assai imbarazzanti per uomini di partito e di governo”. Di certo c’è che i due investigatori esperti di terrorismo che lo Stato aveva a disposizione in quel momento, il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa e il prefetto Emilio Santillo, sono stati esclusi dalle indagini. Tutti i capi degli apparati investigativi e d’intelligence, in particolare sulla piazza di Roma, sono invece uomini poi risultati iscritti alla loggia P2. In questa storia troppe cose non tornano, troppe domande restano aperte: quanti sono i brigatisti che partecipano all’azione? Quante sono le armi che sparano? Erano presenti altri uomini, non brigatisti? Per gli irriducibili del 'sappiamo tutto' è solo aria fritta. Ma gli atti delle commissioni parlamentari raccontato tutta un'altra storia.


moro aldo ritrovamento pb

Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro il 9 Maggio 1978


Giochi di potere
“L’agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L’obiettivo primario è senz’altro quello di allontanare il partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. È un fatto che si vuole che ciò non accada. Poiché è comunque interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del Pci, cioè del leader dell’eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un Paese industrializzato. Ciò non è gradito agli americani. Ancor meno è gradito ai sovietici. Con Berlinguer a Palazzo Chigi, Mosca correrebbe rischi maggiori di Washington. La dimostrazione storica che un comunismo democratico può arrivare al potere grazie al consenso popolare rappresenterebbe (…) la fine dello stesso sistema imperiale moscovita”. A scrivere queste parole non è stato uno storico esperto di geopolitica, ma Mino Pecorelli, giornalista con ottime fonti nei servizi segreti, sulla sua rivista, Op, il 2 maggio 1978, sette giorni prima della morte del presidente della Dc.
E non a torto.
La politica inclusiva di Moro nei confronti delle forze socialiste e comuniste destava infatti numerosi malumori a Washington.
Quando il 25 settembre 1974 in qualità di ministro degli esteri si presentò al segretario di Stato Henry Kissinger, da questi ricevette un avvertimento perentorio: “Onorevole … lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”.
Anche davanti a questo Moro non ha esitato nei suoi propositi di costruire una vera forza democratica inclusiva che cambiasse le sorti del nostro paese. In quel 16 marzo 1978, giorno della cattura, Aldo Moro era pronto a recarsi alla camera, per dare il voto di fiducia al primo governo con il sostegno dei comunisti. Sarebbe stato poi lo stesso Steve Pieczenik, consigliere di Stato USA chiamato al fianco del ministro degli interni Francesco Cossiga per rispondere alla crisi, che in un’intervista ammise: “Con la sua morte (di Moro, ndr) impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa”.
Moro non è stato ucciso solo quel 9 maggio: viene ucciso ogni qualvolta, a tutti i livelli, dalle sedi pubbliche a quelle private ed anche a quelle istituzionali, non si ha il coraggio di ricordare che quest’uomo venne assassinato da quelli che per quarant’anni hanno oscurato la verità ingiustamente. Parliamo di organi dello Stato che si sono preoccupati di chiudere la stagione del terrorismo con una verità, da raccontare agli italiani, che non esponesse il paese al disamore verso la giustizia e verso la verità, preferendo quella “possibile” a quella “vera”.
Una verità che parte da molto lontano e che affonda le sue radici negli accordi di Yalta, in Crimea, del febbraio del 1945, quando Russia, Stati Uniti e Inghilterra si divisero il mondo.

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